Fuori dai cliché, fuori dai condizionamenti familiari e sociali, fuori dalle prevaricazioni maschiliste, fuori dalle deformazioni culturali e di razza, fuori dalla prepotenza dei forti, fuori dalla schiavitù del denaro, fuori dalla mentalità bigotta del clericalismo più ortodosso.
Fuori … Ma rigidissima nella vita, nella sua Regola e nella deontologia imposta alle sue consorelle: un sari di misero cotone, sempre quello, sempre rigorosamente fatto a mano dai suoi lebbrosi del Ghandiji Prem Navas Leprosy Center vicino alla sua Calcutta, Africa – New York – Siberia, venti grado sottozero o quaranta all’ombra non ha importanza; a casa solo ogni dieci anni; non oltre un certo periodo temporale nello stesso luogo per evitare radici troppo profonde; niente televisione, niente lavatrici, niente sofisticherie moderne. Povertà assoluta. Perfettamente identica a quella dei suoi poveri. Perché “solo così si può condividere sino in fondo la loro sofferenza “, diceva Lei.
Aveva perfettamente ragione. Non si può comprendere sino in fondo se non ci si trova dentro.
E’, forse, anche questo il motivo per cui l’uomo non potrà mai comprendere sino in fondo le difficoltà che ha dovuto attraverso la donna nel corso della storia; in passato ed oggi, in quella moltitudine di Stati nel mondo in cui continua ad essere considerata “oggetto” di seconda classe.
Lo sapeva bene Madre Teresa perché lo toccava quotidianamente con mano anche nella sua India, contraddistinta da una cultura maschilista che salva a malapena Bangalore o qualche nicchia di quartieri alti. E lo toccava con amarezza – Madre Teresa – quando, anche nelle adozioni dei suoi bambini, era costretta a dare i suoi piccoli maschi in precedenza assoluta ai genitori indiani.
… Le femmine al mondo occidentale, i maschi a noi indiani … Questo il ricatto sottile di una società che l’aveva comunque accolta a braccia aperte, nonostante straniera, nonostante cattolica, nonostante donna.
Ricatti impalpabili, accettati incondizionatamente pur di vincere il suo personale duello con la fame e con la morte.
Una donna palluta, direbbero le nostre adolescenti di oggi. Una donna forte e vigorosa come le nostre nonne, verrebbe da dire a me.
Oggi è anche la sua festa. Perché raramente una donna è riuscita a stramazzare al suolo tanti maschi quanto ha saputo fare Lei.
E’ solo che Lei non l’ha mai detto. Esattamente come le nostre nonne: la vittoria della loro forza silente, accompagnata dall’umiltà di dare al perdente l’onore della battaglia e della gloria.
Ieri era così. Sempre. Oggi no, non è più tempo di simili generose umiltà!
Oggi: nessun compromesso, nessuna trattativa, nessun accordo costrittivo di alcun tipo.
La nostra – di noi Donne – è, e deve rimanere ad oltranza, una lotta a viso aperto. Libera.
Ce la siamo guadagnate, non ci è stato regalato nulla, le ferite laceranti delle nostre nonne e bisnonne a darci la forza di non abbassare la guardia di fronte a quel virus della soprafazione che, purtroppo, continua ancora ad essere dietro l’angolo, in pericoloso agguato.
E soprattutto, lotta a viso aperto per chi continua ad essere meno fortunata di noi: per i milioni di bambine costrette a prostituirsi nel mondo (sciagurate sollazzo vacanziero dei nostri maschi occidentali); per le mogli asiatiche e africane che hanno osato tradire i mariti e si ritrovano ad essere lapidate come lupi braccati; per le donne di intere popolazioni della Terra trattate come bestie da soma; per la vicina di casa abbandonata dal compagno con i bambini ancora attaccati al seno; per la collega che non ha il coraggio di denunciare il marito violento; per le tante forme di schiavitù ancora esistenti nell’universo femminile.
… La storia ha formalmente abolito la schiavitù, ma ahimè solo quella di sesso maschile ….
Oggi è il nostro giorno, ed è giusto festeggiarlo.
Ma domani … domani, io mi auguro che le nostre figlie possano celebrare la festa della persona umana.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento