Distanziometro: natura giuridica, ratio e profili di criticità

Redazione 06/05/20
A cura di Antonella D’Alessandro 

Il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l’imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, risponde allo scopo di contenere e contrastare il fenomeno della ludopatia.

La pur lodevole intenzione di contrastare il gioco compulsivo, e le conseguenze negative che ne derivano, non può esprimersi in atti che finiscono con lo svuotare completamente l’esercizio della libertà di iniziativa economica.

Prevenzione logistica – Il distanziometro può definirsi una misura di <<prevenzione logistica>> (Corte cost., 11 maggio 2017, n. 108) della dipendenza da gioco d’azzardo che, dopo essere stata sperimentata a livello locale tramite regolamenti e ordinanze di autorità comunali, è stata adottata negli ultimi anni a livello legislativo da larga parte delle Regioni.

Si tratta, essenzialmente, della previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto ai luoghi cd. sensibili perché frequentati da categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili di fronte alla tentazione del gioco d’azzardo.

Il dato normativo nazionale è quello ex art. 7 del cd. Decreto Balduzzi (D.L. 13 settembre 2012, n. 158, conv. L. 8 novembre 2012, n. 189) che esordisce stabilendo, al comma 1, che l’esercizio delle sale da gioco e l’installazione di apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, R.D. n. 773/1931 (TULPS), nonché di <<ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro>> sono <<soggetti al regime autorizzatorio previsto dalle norme vigenti>>.

Il successivo comma 2 soggiunge che, fuori dei casi previsti dall’art. 110, comma 7, TULPS (che individua apparecchi per il gioco lecito di ridotta pericolosità sotto il profilo considerato), <<l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette>>.

Emerge, da subito, la non felice formulazione del precetto, che, a causa di una doppia negazione, sembrerebbe primo visu esigere, anziché vietare, la collocazione di sale e apparecchi da gioco in prossimità dei luoghi sensibili (<<l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri>>).

Naturalmente la distanza lineare indicata dalla norma segna il distacco minimo delle attività avute di mira rispetto alle aree tutelate: ed è questa l’unica interpretazione che può essere fornita da parte dell’interprete.

Dalla legislazione nazionale si ricava così il principio della necessaria pianificazione della distribuzione sul territorio delle sale da gioco, allo scopo di contenere e contrastare il fenomeno della ludopatia.

La giurisprudenza intervenuta in materia (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. unica, 20 marzo 2013, n. 96) se da un lato ha precisato come la libertà di iniziativa economica privata non sia assoluta, dovendosi comunque esplicare nel rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana (art. 41, II, Cost.), restando affidato al Legislatore il compito di determinare i programmi e i controlli opportuni affinché essa possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, dall’altro (Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2958) ha sottolineato come  <<la disciplina regionale delle distanze da obiettivi sensibili possa essere uniforme, e cioè trattare allo stesso modo sale giochi e sale scommesse ai fini di prevenire la ludopatia per quanto non si possa negare che tra le due attività (gioco con apparecchio tipo slot/ raccolta scommesse su eventi futuri) esista una certa differenza di base.

Finalità di carattere socio-sanitario

Le disposizioni (nazionale e regionali) sui limiti di distanza imposti alle sale da gioco dai luoghi sensibili siano dirette al perseguimento di finalità, in primis, di carattere socio-sanitario ma anche attinenti al governo del territorio, sotto i profili della salvaguardia del contesto urbano (Cons. Stato, sez. III, 19 dicembre 2019, n. 8563).

I poteri in questione incidono, in netta prevalenza, in materie oggetto di potestà legislativa concorrente, nelle quali la Regione, ai sensi dell’art. 117, III, Cost., può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale (v. anche Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 220).

Successivamente al cennato Decreto Balduzzi l’art. 14 della L. 11 marzo 2014, n. 23 ha conferito al Governo la delega legislativa per il riordino in un codice delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, prevedendo, tra i criteri di delega – assieme a quello dell’adeguamento della normativa <<all’esigenza di prevenire i fenomeni di ludopatia ovvero di gioco d’azzardo patologico e di gioco minorile>> (lettera a del comma 2) – l’altro della fissazione <<di parametri di distanza dai luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale>>, ma con espressa garanzia della <<salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale>>, che risultassero coerenti con i principi stabiliti dal decreto delegato (lettera e del comma 2).

Ciò a dimostrazione del fatto che simili discipline potevano essere medio tempore adottate anche in assenza della pianificazione prevista dal Decreto Balduzzi.

La giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 579; Cons. Stato, sez. V, 1 agosto 2015, n. 3778; Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5251) ha individuato lo spazio di intervento del legislatore regionale, pur nell’assenza delle norme esecutive nazionali, nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale, nella possibilità di individuare sia distanze minime da rispettare, sia ulteriori spazi collettivi, espressione di analoghe esigenze di tutela, rispetto a quelle già insite nelle strutture di aggregazione indicate dal Legislatore nazionale.

Orbene, fatte tali premesse, va rilevato che il metodo del distanziometro, lungi dall’essere contrastato nella legislazione nazionale e regionale, o nella giurisprudenza, rappresenta, a tutt’oggi, uno degli strumenti cui è affidata la tutela di fasce della popolazione particolarmente esposte al rischio di dipendenza da gioco (Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1806; Cons. Stato, sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2018, n. 5237).

Criticità – I profili di criticità sottesi alla misura qui in esame sono strettamente connessi ad un dato insuperabile: e cioè a dire, il pericolo che, pur a fronte di un’attività ammessa, lecita e disciplinata dalla normativa statale, l’ente locale adotti provvedimenti che finiscano per inibire completamente il suo esercizio.

Ciò naturalmente non può essere <<poiché in tal modo verrebbe sostanzialmente espropriato il diritto di iniziativa economica>> (T.a.r. Toscana, Sez. II, 18 maggio 2017, n. 715).

Non può quindi un regolamento, per l’ampiezza e la genericità delle dizioni in esso contenute, finire con il vietare l’apertura degli esercizi di cui si tratta in tutto il territorio del Comune di riferimento (ponendo così in essere un inaccettabile fenomeno cd. espulsivo).

Lo stesso Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2018, ord. n. 3264, ha disposto una apposita verificazione al fine di accertare, nel caso concreto sottoposto al suo giudizio, il <<possibile effetto espulsivo prodotto dalle limitazioni c.d. spaziali contenute nel regolamento impugnato>>.

Il Tribunale Ordinario di Torino (sez. III, ord. 31 ottobre 2018) è intervenuto nel contesto di in una vicenda nella quale correttamente (trattandosi di un profilo non contestato) il gestore di una sala giochi osservava che, applicando il distanziometro previsto dalla Regione Piemonte, sul 99,32% del territorio comunale non era possibile collocare apparecchi da gioco (ciò, di fatto, si traduceva in quell’inammissibile divieto generalizzato di gestire macchinette sull’intero territorio comunale).

Resta, infine, da precisare che la Circolare del Ministero dell’Interno del 19 marzo 2018 ha chiarito <<che la Questura in sede di rilascio della licenza ex art. 88 del TULPS debba tenere conto anche della disciplina regionale e locale in tema di distanze minime da luoghi qualificati come “sensibili”>>.

In Cons. Stato, sez. III, 27 luglio 2018, n. 4604 si sottolinea come il Questore sia tenuto, per il rilascio dell’autorizzazione, a verificare la sussistenza non soltanto dei requisiti stabiliti dalla legislazione di polizia ma anche di quelli previsti dalle ulteriori fonti normative e ordinamentali, tra le quali assume una specifica valenza proprio la legislazione regionale in materia di rispetto delle distanze minime dai luoghi sensibili.

Calcolo delle distanze. – La previsione normativa di apposite distanze minime da rispettare – nei termini innanzi visti – impone di avere regole certe quanto modalità da seguire per effettuare il relativo calcolo.

In molte Regioni tale distanza oscilla fra i trecento e i cinquecento metri e, sul metodo del relativo calcolo, si fa solitamente riferimento al più breve tragitto pedonale.

Si consideri che per percorso pedonale <<s’intende quello ordinariamente percorribile mediante una normale deambulazione, senza particolari ostacoli naturali …). In questo contesto di normale deambulazione non sembra rientrare, di necessità, anche la scrupolosa osservanza delle disposizioni amministrative relative ai passaggi pedonali; il percorso pedonale pertanto potrà prescindere dagli attraversamenti pedonali segnalati, a meno che le circostanze di fatto non siano tali da costituire veri e propri ostacoli materiali all’attraversamento fuori dei punti stabiliti (si pensi… all’attraversamento di un’autostrada, che espone a rischi particolarmente elevati, e come tali assimilabili ad un ostacolo vero e proprio)… Questa conclusione è rafforzata dalla considerazione che siffatti passaggi pedonali, risultanti da una mera indicazione simbolica, ma non corrispondenti ad una particolare configurazione del terreno, hanno la caratteristica, non irrilevante, di essere soggetti a frequenti modificazioni e spostamenti (…) sicché sarebbe arbitrario assumerli come determinanti ai fini del calcolo delle distanze>> (Cons. Stato, sez. III, 28 settembre 2015, n. 4535).

Quanto al cennato fenomeno c.d. espulsivo esso, a ben vedere, va apprezzato con riguardo non solo alla distanza ma anche al numero e alla tipologia di luoghi sensibili individuati, tenuto conto della natura non tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 7, comma 10, Decreto Balduzzi.

La Corte Costituzionale ha ritenuto non irragionevoli le scelte regionali di ampliare il numero dei luoghi sensibili, includendovi persino luoghi adibiti ad <<attività operative nei confronti del pubblico>> che <<si configurano altresì come luoghi di aggregazione, in cui possono transitare soggetti in difficoltà>> (così considerando legittima anche l’inclusione delle caserme, v. Corte cost., 27 febbraio 2019, n. 27).

Orbene la previsione di distanza, per avere un senso ed essere efficace, deve essere reale e non puramente virtuale facendosi così riferimento alla distanza reale tra due luoghi, calcolata in base al percorso più breve riferito unicamente ad un cammino pedonale (Rileva dunque la norma dell’art. 190 Codice della Strada).

In questi termini si pongono espressamente: T.a.r. Toscana, Firenze, sez. III, 23 ottobre 2017, n. 1268; T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, 8 luglio 2015, n. 1015; T.a.r. Sardegna, sez. I 24 maggio 2004, n. 619; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 12 agosto 1995, n. 521).

Più di recente la giurisprudenza ha evidenziato la necessità di evitare interpretazioni rigidamente formalistiche preferendo una lettura più elastica della norma in modo da adattarla alle peculiarità del caso concreto (superamento di scalini o gradini etc. …) (T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 8 gennaio 2019, n. 80 – resa in tema di distanze tra rivendite di generi di monopolio).

 

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