Danno cagionato da cosa in custodia: la legge
Come noto, la norma di riferimento è l’articolo 2051 del codice civile che così statuisce: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. È un tipico esempio di responsabilità extracontrattuale con inversione dell’onere della prova. Infatti, non è necessario che la vittima dimostri la colpa del soggetto titolare della cosa; semmai, quest’ultimo dovrà dimostrare che il danno si è prodotto per effetto di un fattore causale esogeno del tutto imprevedibile e inevitabile.
Se tutto questo è vero, è altrettanto vero (come ci ricordano gli Ermellini) che presupposto fondamentale per poter invocare l’applicazione di questo principio è l’esistenza di un nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso. Significa che la cosa deve aver causato il fatto pregiudizievole. In questo senso, si può richiamare un’efficace espressione dell’articolo 1384 del Codice napoleonico dove si parlava di “fatto della cosa”: significa che è del tutto irrilevante il contegno tenuto dal responsabile della cosa. Non importa, cioè, che la vittima riesca a dimostrare una “deficienza” nella manutenzione o nella custodia da parte del soggetto responsabile della cosa stessa. Nel settore di cui stiamo parlando, la nozione di “custodia” non è quella tipica della responsabilità contrattuale: ergo, non comporta la prova della violazione di un obbligo specifico (comportamentale) del soggetto custode consistente nel dovere di controllare la cosa affinché essa non produca danni.
Quando si delinea il danno da cosa in custodia
Conta, piuttosto, che la cosa abbia rappresentato una effettiva “causa” del danno e non una mera “occasione” del suo verificarsi. Ora, perché la cosa possa considerarsi causa del danno devono ricorrere, alternativamente, due circostanze: o il danno è stato determinato dal dinamismo connaturato alla cosa (pensiamo al meccanismo malfunzionante di una giostra per bambini) oppure dallo sviluppo di un agente dannoso insorto nella cosa stessa (pensiamo a un pavimento di supermercato reso scivoloso da residui organici di cibo). Tale ultimo caso può verificarsi anche quando la cosa sia di per sé statica e inerte; e, tuttavia, la stessa finisca per diventare insidiosa per effetto di un’azione dell’uomo, sia esso un terzo o lo stesso danneggiato. In queste circostanze, però, bisogna anche dimostrare che la cosa inerte già si presentava inserita in un contesto di intrinseca pericolosità. Tipica l’ipotesi del manufatto lasciato incustodito in un’area di passaggio.
Pertanto, possiamo essere nell’ambito e nell’alveo dell’applicazione dell’articolo 2051 anche quando la cosa – pur del tutto inerte – diventi “causa” dell’evento di danno per la sua interazione con il danneggiato o con un terzo; costituendo, così, un elemento imprescindibile al fine della produzione dell’evento. Quando parliamo di inerzia facciamo riferimento alla inattitudine della cosa a sprigionare una propria autonoma energia. In altri termini, e come anzidetto, la cosa (benché inerte) può reputarsi scaturigine, e quindi causa, dell’evento allorché la sua intrinseca pericolosità si salda con il contributo cinetico della vittima che si scontra con la “cosa ostacolo” e ne riporta lesioni.
Concludendo: per quanto inerte, la cosa – al fine di configurare una responsabilità in base articolo 2051 c.c. – deve comunque svolgere un ruolo nel processo causale.
Questo non accade, ovviamente, quando la cosa costituisce semplicemente un fattore del tutto “neutro”, ovvero occasionale, come è avvenuto nella vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione. Nel caso concreto affrontato dai giudici di Piazza Cavour, infatti, la causa del danno subito dal pedone non era l’area pedonalizzata (che costituiva soltanto il “teatro” del sinistro dove si è svolto il dramma), ma semmai il ciclista rimasto sconosciuto. Si può anche dire che, nella fattispecie, non vi era stato nessun contributo causale da parte della cosa inerte – cioè dell’area pedonale in sé e per sé considerata – al danno patito dal pedone. Piuttosto, la causa originaria (determinante dell’incidente) si era “esaurita” in toto nel contegno dell’unico “attore protagonista”: il soggetto investitore; senza che potesse rinvenirsi alcun contributo causale da parte dello “scenario” rappresentato dalla piazzola pedonalizzata. Ovviamente, la domanda è stata respinta perché fondata sull’articolo 2051 del codice civile. Ma avrebbe potuto essere accolta nel caso in cui la danneggiata avesse agito contro l’amministrazione comunale accampando una responsabilità aquiliana dell’ente, ex art. 2043 c.c. Al Comune, infatti, avrebbe potuto essere addebitata una vera, e giuridicamente dirimente, inerzia: quella di aver omesso di tutelare gli occasionali pedoni – con idonee misure di contenimento – dal transito di veicoli in loco.
carraro@avvocatoacarraro.it
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