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Il ruolo di Mattarella
Benché ancora non sia stata resa nota la data del referendum costituzionale e pochi italiani conoscano la materia su cui dovranno esprimersi, una cosa è certa: l’Italicum resterà fuori gioco fino alla chiusura delle urne.
La notizia del rinvio al 2017 da parte della Corte costituzionale sull’esame della nuova legge elettorale – previsto per questi giorni – pare aver dato il via a nuove trattative frenetiche tra i partiti. Poche ore dopo l’annuncio, la maggioranza di governo si è subito affrettata a presentare in Parlamento una mozione circa possibili modifiche all’Italicum da votare nei prossimi mesi.
Dunque, appare quantomai evidente che il ritornello “l’Italicum non c’entra nulla con il referendum” sia buono per qualche dichiarazione o titolo di giornale, ma lontano dalla realtà.
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Da un punto di vista strettamente procedurale, è fuori di dubbio: gli elettori saranno chiamati a esprimersi sulla legge di modifica costituzionale approvata in duplice seduta da entrambi i rami del Parlamento, così come prevede la Carta fondamentale. Altro, invece, deve essere il cammino della legge elettorale, da approvare tramite legge ordinaria ed entrata in vigore, nella sua stesura più recente, lo scorso mese di luglio.
E qui, il primo corto circuito. Allo stato attuale, infatti, l’Italicum sarebbe vigente per la Camera mentre il Senato rimane soggetto al “Consultellum”, ossia la legge Calderoli depurata degli elementi ritenuti illegittimi dalla Suprema Corte. Tutto ciò, in attesa di conoscere l’esito della chiamata referendaria: siamo di fronte, insomma, non solo a un regime transitorio, ma a un quadro istituzionale profondamente asimmetrico.
La legge elettorale di recente approvazione, infatti, riguarda solo Montecitorio, ignorando del tutto Palazzo Madama e, sostanzialmente, ammettendo in maniera implicita l’eleggibilità indiretta dei senatori. Proprio quanto prevede espressamente la riforma costituzionale che saremo chiamati a giudicare nell’arco di poche settimane.
Insomma, la bocciatura della legge Renzi-Boschi potrebbe provocare un ulteriore shock, renderendo definitivo lo stato attuale provvisorio, con il paradosso di due sistemi elettorali per altrettanti rami del Parlamento. Alla faccia della semplificazione, verrebbe da dire.
D’altro canto, la vittoria del Sì, sancirebbe il successo della politica del governo, modificando sensibilmente non solo la Costituzione, ma l’intero assetto istituzionale per la prima volta in settant’anni. Di rimbalzo, però, verrebbe a porsi il nodo irrisolto dell’Italicum, che mostra alcuni profili di assai probabile illegittimità. Uno su tutti il premio di maggioranza abnorme – pari a 340 deputati – che verrebbe riconosciuto alla lista vincitrice con il 40% al primo turno, o con il successo al ballottaggio. Quindi, altra questione spinosa è quella dei capilista bloccati, cioè decisi a priori dalle segreterie, candidabili fino a dieci collegi diversi.
Ovviamente, un nuovo stop della Consulta alla legge elettorale, dopo quello ottenuto dal Porcellum, avrebbe significato un colpo durissimo in vista del referendum, con i sondaggi assai negativi per il governo e i mugugni delle minoranze. Come vedere crollare il tetto di una casa mentre le colonne portanti scricchiolano paurosamente.
Ecco, allora, che lo stand-by sull’Italicum diviene il propizio terreno di incontro, attraverso cui negoziare l’appoggio alla riforma in cambio di qualche concessione sulla legge elettorale, magari in senso maggioritario ripescando il Mattarellum, la legge a cui diede il nome, oltre vent’anni fa, l’attuale presidente della Repubblica.
Proprio quel Capo dello Stato che, prima di salire al Colle, era membro della stessa Corte costituzionale, la quale, rinviando il giudizio sull’Italicum, ha dunque fornito al premier un importante assist, per ricompattare la maggioranza, alla vigilia della “madre di tutte le battaglie”, ossia il referendum. Non sarà che Mattarella, dietro la maschera di arbitro e la voce flebile, sia assai più attivo di come lo si dipinge?
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