Mantenimento figli maggiorenni: quando il genitore non ha diritto al risarcimento?

Redazione 18/08/16
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La sentenza n. 32478/2016 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, ha stabilito che la madre che lamenta il mancato versamento del mantenimento dei figli da parte del padre, non vedrà alcun risarcimento se la domanda appare avulsa dalla condotta di reato (ex art. 570 c.p.) e promossa per conto proprio e non nell’interesse della prole.

Assegno di mantenimento non versato? La decisione della Cassazione

In sede di merito, il ricorrente era stato condannato per la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.c.), perché aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore. La bambina era nata dalla relazione con una donna straniera con cui non era spostato e cui aveva smesso di corrispondere l’assegno a titolo di alimenti stabilito da due sentenze dell’autorità giudiziaria tedesca, pure riconosciute in Italia.

La donna si era costituita parte civile contro l’uomo, accusato di causare danni morali e materiali tramite la sua condotta che, nello specifico, determinava nella figlia un turbamento e un senso di rifiuto tali da causarle uno stress che incideva nella sfera della vita sociale della stessa.

La ragione del ricorso, teso a far rilevare come la prescrizione del reato ascritto sia effettivamente e da lungo tempo maturata, è stato trovato fondato dagli Ermellini, perché sentenze tedesche avevano già fatto riferimento al raggiungimento della maggiore età della figlia e posto il termine finale dell’obbligo alimentare al 17 agosto 2007, da cui sarebbe iniziato a decorrere il termine di prescrizione spirato il 16 febbraio 2015, quindi ben prima della sentenza impugnata.

Genitore che non agisce nell’interesse del figlio: nessun risarcimento

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La Cassazione, inoltre, ha evinto dall’atto di costituzione quale parte civile della donna quale persona offesa dal reato, cioè in quanto soggetto cui è mancato il sostentamento della legge, come la madre non abbia agito in nome e per conto della figlia. Quest’ultima, all’epoca già maggiorenne, avrebbe dovuto d’altronde conferirle una procura ad hoc, di cui non vi è segno alcuno negli atti.

Il fine ultimo della donna era solo quello di far valere per sé le conseguenze pregiudizievoli derivatele. Ma soprattutto, la donna non si è rivalsa di ciò che era alla base della condotta penalmente rilevante di cui l’uomo è stato chiamato a rispondere in seno al processo, cioè il mancato adempimento dell’obbligo economico posto a carico dell’imputato, ma piuttosto di quel turbamento e di quel rifiuto verso sua figlia che, a suo dire, erano tali da incidere nella sfera sociale della ragazza stessa.

Pertanto, per gli Ermellini, questa domanda risarcitoria si connota come affetta da inammissibilità, in quanto avulsa dalla contestata condotta di reato. Tale inammissibilità può essere dichiarata anche con la sentenza che definisce il giudizio, visto che al giudice è sempre consentito il controllo dei presupposti di legittimità formale e sostanziale per l’esercizio dell’azione civile in sede penale.

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