Le Collaborazioni Coordinate Continuative sono state da sempre oggetto di attenzione da parte degli addetti al Diritto del Lavoro e della politica nazionale. Questo perché la domanda di flessibilità da parte delle aziende ha sempre trovato un suo sfogo in questa forma contrattuale, causandone così un utilizzo spesso inappropriato.
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Per tale ragione c’è stato un susseguirsi di interventi legislativi nel corso degli ultimi anni, volti a mitigare questo abuso.
In ultimo il D.Lgs. 81/2015, il quale è intervenuto abrogando gli artt. dal 61 al 69 bis del D.Lgs. 276/2003, provvedendo a far scomparire le Co.Co. a progetto, le mini Co.Co.Co., le Collaborazioni svolte dai percettori di pensione di vecchiaia e ripristinando la normativa antecedente. Infatti con il nuovo testo normativo, i rapporti di Collaborazione Coordinata e Continuativa, di natura prevalentemente personale e autonoma, tornano a ricadere nell’Art. 409 c.p.c. n. 3.
L’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 permette di poter utilizzare nuovamente questa forma contrattuale ma con dei nuovi limiti e restrizioni. La Riforma del 2015 introduce dei limiti indicati all’art. 2 del Decreto stesso, il quale afferma che dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che risulteranno carenti di autonomia operativa in quanto “si concretizzeranno in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai temi e al luogo di lavoro”.
I nuovi indicatori pertanto sono i seguenti:
- prestazione svolta in modo esclusivamente personale, ovvero svolta dal collaboratore senza avvalersi di apporto di terzi;
- prestazione svolta in via continuativa, ovvero che perduri nel tempo e comporti un impegno costante e lungo del prestatore a favore del committente;
- al collaboratore deve essere lasciata piena ed assoluta autonomia operativa, ovvero deve essere libero di determinare e determinarsi i “se”, “quando”, “come” e “dove” svolgere la propria prestazione.
È chiaro che vanno chiariti alcuni aspetti e in aiuto giunge la Circolare n. 3 del 01.02.2016 del Ministero del Lavoro, la quale fornisce alcune indicazioni. Quest’ultima sottolinea che i requisiti di etero-organizzazione, che comportano l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, si realizzano nell’ipotesi in cui il collaboratore operi in un’organizzazione nella quale sia tenuto ad osservare:
- orari di lavoro determinati;
- prestazione dell’attività lavorativa nei luoghi di lavoro individuati dal committente.
Come condizioni della personalità della prestazione lavorativa, la circolare precisa che si intendono per personali quelle prestazioni svolte senza l’ausilio di altri soggetti. Risulta invece irrilevante l’utilizzo di attrezzature o mezzi affinché la prestazione risulti “esclusivamente personale”.
Rimangono escluse dagli effetti dell’etero-organizzazione (art. 2 co.2): le collaborazioni individuate dagli accordi collettivi, quelle prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, le attività prestate dai componenti degli organi di amministrazione, le prestazioni di lavoro rese in favore delle associazioni dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive riconosciuti dal Coni.
Di fronte alla liberalizzazione delle Collaborazioni rispetto al progetto, ritengo comunque opportuno proporre alcuni punti su cui prestare attenzione nel caso in cui il lettore si trovasse nella necessità di avvalersi di un co.co.co. Mi riferisco in particolare modo ad alcuni aspetti del contratto che meritano attenzione, affinché anche formalmente il contratto sia genuino.
Innanzitutto le parti contraenti vanno indicate con precisione, preferendo a termini quali “lavoratore”, “collaboratore” o “professionista”, evitando così ogni ambiguità, inserendo una breve presentazione o descrizione delle attività esercitate dai contraenti.
L’oggetto della collaborazione e il risultato rappresentano l’elemento centrale del contratto in cui la descrizione deve avere un contenuto tecnico e professionale riferibile all’attività da svolgersi, anche con vocaboli altamente tecnici.
L’orario di lavoro non va inserito in alcun modo, piuttosto andremo ad indicare gli orari all’interno dei quali il “collaboratore” potrà prestare l’attività all’interno dell’azienda o del luogo di lavoro, rappresentando l’assoluta disponibilità di tempo e di spazi aziendali.
Per quanto concerne i mezzi di lavoro, nel contratto deve essere specificato l’utilizzo degli strumenti utilizzati e soprattutto se questi sono forniti dal committente o meno.
Per quanto concerne il compenso, si deve valutare l’importanza della prestazione e deve essere rapportato alla quantità e qualità della prestazione eseguita, facendo riferimento al CCNL di categoria. Risparmiare su questo aspetto potrebbe rappresentare un punto di debolezza del contratto.
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Quale consiglio mi sento di dare all’imprenditore che abbia la necessità di un co.co.co.?
Per una maggiore tranquillità, a mio avviso, è opportuno sottoporre il Contratto a certificazione ex art. 76 D.Lgs. 276/03, presso le Commissioni di certificazione. La Certificazione è una opportunità da prendere in seria considerazione (non solo per le Co.Co.Co.) dal momento che permette di poter avere un “visto” di conformità legale del contratto, una validazione delle volontà delle parti, in particolare del “collaboratore” e una tutela maggiore in caso di ispezione e di ricorso in sede giudiziale.
Tutto questo a patto che non vi sia difformità materiale rispetto a quanto certificato.
Per maggiori informazioni:
STUDIO AVV. ZANON – CONSULENZA DEL LAVORO
Via Rizzo 49 – 30031 Dolo (VE)
Tel. 0415101894
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