Diversamente, infatti, il dipendente che sfrutta i permessi della legge 104 allo scopo di assistere soltanto parzialmente il parente disabile, può essere legittimamente licenziato dal datore di lavoro.
Vediamo nel dettaglio quali sono i casi in cui il dipendente può essere licenziato.
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LEGGE 104: QUANDO SFRUTTARE I PERMESSI TI PUÒ FARE LICENZIARE
Abusare dei permessi della legge 104 costituisce una delle ragioni principali di contestazione tra datori di lavoro e dipendenti. Chi, infatti, durante la giornata di permesso retribuito per assistere al familiare disabile svolge mansioni ulteriori commette una “frode”, non soltanto nei riguardi del datore di lavoro (per via della fruizione di un permesso pagato in maniera non consona agli obiettivi pattuiti dalla legge), ma anche nei confronti del sistema previdenziale nazionale (in quanto, essendogli l’indennità erogata dall’INPS, viene a scaricare il costo del proprio abuso sulla collettività).
Ne consegue che può essere legittimamente licenziato il lavoratore che, sfruttando il pretesto dei permessi della legge 104, porta avanti attività personali diverse dal prestare assistenza al portatore di handicap.
PERMESSI LEGGE 104: LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Al riguardo si è pronunciata, ancora una volta, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9217/16 del 6 maggio 2016 nella quale ha ribadito come sia considerato legittimo il licenziamento di tutti i falsi utilizzatori dei “permessi retribuiti 104”, vale a dire dei dipendenti che sfruttano le giornate di assenza dal lavoro prestando però assistenza al parente disabile soltanto in via parziale perché indaffarati a svolgere altre attività.
In questi casi, il licenziamento è lo strumento che attesa la gravità della condotta, e come tale può essere effettuato anche senza alcun preavviso, giuridicamente sarebbe il cosiddetto “licenziamento per giusta causa”.
PERMESSI LEGGE 104: QUANDO SCATTA L’ABUSO?
La Cassazione nei confronti dei soggetti che abusano dei giorni di permesso previsti dalla legge 104/92, avvalendosi del permesso non per l’assistenza al familiare, bensì per effettuare altre attività, nella sentenza in commento ha stabilito che tale comportamento viene ad integrare l’ipotesi dell’abuso di diritto.
Questo per via del fatto che una simile condotta viene a palesarsi come lesiva della buona fede del datore di lavoro, privando quest’ultimo in maniera ingiusta della prestazione lavorativa. In aggiunta, tale comportamento viola l’affidamento che l’azienda rimette al dipendente, integrando altresì nei confronti dell’INPS una percezione indebita dell’indennità e un utilizzo distorto della prestazione assistenziale.
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