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L’applicazione della direttiva europea Brrd (Bank recovery and resolution directive) scatterà in Italia dal 1° gennaio 2016, modificando radicalmente il paradigma del correntista bancario. Quest’ultimo, infatti, in caso l’istituto versi in situazioni di difficoltà finanziaria, viene messo nella posizione di poter divenire compartecipe delle perdite.
Prima della nuova disposizione era consuetudine fare riferimento al meccanismo del bail-out. Per il salvataggio di una banca intervenivano direttamente gli Stati, e di conseguenza indirettamente tutti i contribuenti versando, mediante l’aumento delle imposte, il surplus di deficit richiesto per salvare l’istituto.
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Una simile prassi ha avuto un rilevante peso nell’innalzamento oltre l’80%, tra il 2008 e il 2012, del rapporto debito/Pil registrato nell’Eurozona. Attraverso la nuova direttiva, ora l’Europa cambia marcia: in caso di difficoltà finanziarie di uno o più istituti bancari non si prevede più il diretto intervento degli Stati (con il conseguente intervento indiretto dei contribuenti dietro tasse più elevate), bensì si permette d’intervenire direttamente ai soggetti che hanno un rapporto con l’istituto. Si parla quindi di azionisti, obbligazionisti e correntisti.
Per l’eventuale piano di salvataggio della banca in difficoltà, gli azionisti, coloro che hanno comprato azioni della banca in questione e che le detengono in portafoglio, sono schierati in prima linea. Qualora il loro intervento non dovesse essere sufficiente ai fini del salvataggio subentra l’azione degli obbligazionisti, vale a dire di coloro che detengono in portafoglio obbligazioni emesse dal medesimo istituto.
In questo secondo caso, però, si apre un’ulteriore distinzione: prima viene privilegiato l’intervento dei possessori di obbligazioni subordinate (si tratta di una categoria di bond maggiormente rischiosa) e soltanto dopo quello dei possessori di obbligazioni, sempre emesse dall’istituto in difficoltà, della categoria senior (quella meno rischiosa).
Soltanto nei casi più estremi in cui anche questi interventi non dovessero bastare subentrano infine i correntisti. Sarà comunque possibile intervenire sulla liquidità disponibile in conto corrente solo limitatamente alla fetta eccedente i 100mila euro, in quanto fino a questa soglia sussiste la garanzia dal fondo di tutela dei depositi interbancari che opera per correntista e per istituto. Qualora, dunque, un correntista dovesse possedere diversi conti presso banche differenti, rischia solo per la parte che eccede i 100mila euro del conto detenuto presso l’istituto in difficoltà.
Nessun rischio, invece, per i titoli finanziari e i prodotti di investimento e non legati alla banca in difficoltà ma posseduti nel deposito titoli della banca in questione, i quali non vengono toccati.
Tuttavia, alcune critiche sul testo che disciplina la direttiva sono state mosse dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che ha invitato a migliorare il quadro che disciplina la trasparenza. Eventuali limature, quindi, potrebbero essere apportate alla versione attuale.
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