Come già Berlusconi nel 2008 con l’Ici, mossa ripetuta – con minore successo – nel 2013 per la cancellazione dell’Imu appena introdotta dal governo Monti, è sempre l’ipotesi di taglio imposta sulla prima casa a scandire i ritmi delle riforme fiscali e, forse, a lanciare il cammino di avvicinamento alle possibili elezioni anticipate.
Che poi, a ben vedere, sul piatto al momento non c’è nulla di nulla, solo la promessa di un premier che sa come guadagnarsi l’attenzione di stampa e opinione pubblica, lanciando, in un weekend di mezza estate, la riscossa fiscale che salverà le tasche degli italiani.
Che Matteo Renzi sia ben più avvezzo alla comunicazione dei suoi predecessori nel campo del centroisnistra, non è certo una novità, ma con proclami del genere, anche lui farebbe meglio a prestare attenzione a non scoprire troppo l’attività del suo governo, ricalcando, tra l’altro, proprio i cavalli di battaglia di Berlusconi, promesse che, puntualmente, non sono mai state mantenute e, anzi, hanno coinciso con il declino politico del leader di Forza Italia.
Dunque, promettere maxi riduzioni fiscali a oltre l’80% della popolazione – i proprietari di almeno una casa – può risultare certamente allettante ai fini della visibilità e dell’influenza sul dibattito, ma poi, se il proposito non viene realizzato, può tradursi nell’arma a doppio taglio più letale per un uomo politico. Risuona ancora, nei dibattiti americani, l’uscita di George Bush senior, quando si lasciò scappare il famoso annuncio: “Read my lips: no new taxes” (Leggete le mie labbra: basta nuove tasse”: un proclama disatteso nel corso della sua presidenza, che gli costò la rielezione nel 1992.
Le coperture di Renzi ci sono oppure no?
Un minuto dopo che il premier aveva lanciato il suo programma di riduzione fiscale, amici e nemici si sono lanciati nelle possibili risorse che saranno investite per portare a termine il piano: ergo, la bomba Imu è già esplosa.
Secondo quanto spiegato dal presidente del Consiglio lo sforzo economico dovrebbe ammontare a 35 miliardi da investire nel corso dei prossimi tre anni, per ottenere, in serie, la scomparsa dell’Imu e della Tasi, la riduzione dell’Ires e quella dell’Irpef.
Dovrebbe partire tutto con la prossima legge di stabilità, quando avverrà la riforma già abbozzata dodici mesi fa, con la nuova “local tax”, che dovrebbe accorpare Tasi e Tari, con detrazioni tali da farle scomparire per chi sia in possesso di prima casa e vi risieda.
Tutta la questione delle coperture, raccontano i dietro le quinte dopo il discorso di Renzi, sarebbe imperniata sul rapporto deficit/Pil, che per l’anno a venire il governo intenderà mantenere al 2,7%. Con un intervento di riduzione drastica delle società municipalizzate – anch’esso, programmato poi rinviato per i mesi scorsi – che dovrebbero passare da 8mila a mille, l’indicatore tanto caro a Bruxelles potrebbe scendere fino a un punto percentuale, che aprirebbe nuovi e importanti margini di spesa su cui gettare le basi della “liberazione” fiscale delle prime case.
Naturalmente, siamo ancora in una fase pienamente ipotetica: non si conoscono i reali margini di riduzione per Imu, Tasi, e Imu agricola, né se la tassa sui rifiuti verrà in qualche modo accorpata a questo piano di taglio delle imposte. Sicuramente, i 3 miliardi e mezzo ipotizzati dall’esecutivo non saranno sufficienti se verrà inserita anche l’Imu agricola, tenendo infatti presente che il gettito nel 2014 della Tasi sulle prime case è stato di molto inferiore alle attese (il Mef lamentava una flessione quasi del 15%), e che molti enti stanno già modificando le aliquote. Risorse che andranno in qualche modo assicurate ai Comuni, oppure potrebbe davvero arrivare il colpo di grazia per i bilanci locali e, soprattutto, i servizi.
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