A pochi giorni dalle elezioni, è tornato prepotentemente di attualità il tema delle pensioni, a seguito del debutto dallo scorso primo giugno del pagamento universale per tutti i destinatari di prestazioni Inps dell’assegno al primo del mese.
Detto, fatto potrebbero voler dire sia il premier Renzi che il presidente Inps Tito Boeri, il quale per primo aveva prefigurato sia l’avvento della busta arancione, che l’omologazione della giornata di pagamento al primo del mese per tutti i tipi di gestioni da parte dell’istituto di previdenza. In proposito, nei prossimi mesi la sperimentazione si allargherà anche ai dipendenti pubblici e a tutti gli esclusi dal primo mese di prova.
Ma, ovviamente, da questi dettagli a una riforma delle Pensioni in grande stile, la differenza è molto ampia. Ma almeno a livello di volontà politica, questa volta il governo sembra deciso a tentare la strada della revisione della legge approvata a fine 2011 nel decreto salva Italia.
Lo ha confermato di recente anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, uno dei più restii esponenti del governo a prefigurare una riforma delle pensioni, specie per i vincoli di spesa e bilancio a cui i conti pubblici italiani sono costantemente sottoposti dalle istituzioni europee.
“Ci stiamo lavorando e stiamo valutando diverse soluzioni. Pensiamo a una formula di flessibilità in uscita in cambio di una piccola riduzione dell’assegno pensionistico, per favorire l’ingresso delle giovani generazioni nel mondo del lavoro. Questo potrebbe comportare un costo per i conti pubblici che va redistribuito”.
Dunque, quanto annunciato dal ministro Padoan riprende le dichiarazioni di Boeri di qualche settimana fa, a proposito di un pensionamento anticipato che verrebbe concesso a quanti sono smaniosi di lasciare il lavoro pur con qualche malus nell’assegno.
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