Fantascienza? Ipotesi romantica? Diversivo prenatalizio? Può darsi, eccome. Ma se un comico assai meno colto e raffinato di Benigni è riuscito a raccogliere, meno di due anni fa, quasi 9 milioni di voti alle elezioni, allora non si capisce perché il più noto e apprezzato uomo di spettacolo – e insieme di cultura – del nostro Paese non debba essere preso in considerazione per ricoprire la più alta carica dello Stato. A maggior ragione, in questa fase di stallo, con le ormai prossime dimissioni dell’anziano presidente attuale, dove le forze politiche sembrano ben lontane da raggiungere un accordo su un nome condiviso.
Nelle scorse settimane, ha preso corpo una possibile candidatura del maestro Riccardo Muti come nuovo inquilino del Quirinale. Un ambasciatore italiano in tutto il mondo, che tramanda da decenni la grande tradizione di una delle maggiori eredità del genio italico all’arte mondiale: la musica classica e l’opera.
Dopo la secca smentita del diretto interessato, si è notato che un direttore d’orchestra può avere l’autorità e la fama globale, ma non il savoir faire necessario per svolgere un incarico come quello del Capo dello Stato. Ruolo che necessita di profonda conoscenza delle dinamiche istituzionali, abilità nei discorsi, e soprattutto una profonda commistione con il popolo di cui è supremo rappresentante.
Tutte qualità che, invece, rispecchiano in Roberto Benigni, poliedrico attore, studioso, monologhista, capace di tenere incollati davanti al teleschermo – e non è semplice, di questi tempi – quasi 20 milioni di spettatori in due serate consecutive, parlando di argomenti che tutti noi abbiamo già sentito dall’infanzia, alle noiosissime – e distratte – lezioni di catechismo.
Solo un personaggio così vitale, gioioso e colto come Benigni è riuscito a rendere interessanti anche argomenti ormai ignorati dalle masse come l’Antico testamento, dati per assunti come buoni per il predicozzo domenicale puntualmente dimenticato all’uscita dalla chiesa. Non solo, Benigni ha rispolverato questi temi, fondamenti della nostra civiltà, trovando illuminanti e – talvolta – poco gratificanti rimandi nell’attualità politica ed economica, nonché con la vita quotidiana delle persone comuni.
Certo, anche i suoi importanti cachet hanno fatto parecchio rumore. Ma il mercato – specie quello televisivo – ha le sue regole e basta guardare gli ascolti di ieri e di lunedì sera per rendersi conto come non siano certo le apparizioni di Benigni a generare il rosso dei conti in Rai.
Benigni non è uomo sopra le parti, questo è indubbio. I suoi primi anni di carriera – dal film “Berlinguer ti voglio bene” al famoso “Wojtylaccio” – non ricordano certo quelli di un politico di mestiere impegnato a tenere i piedi in più staffe per costruirsi una carriera. Però, con la maturazione personale e artistica, non solo è riuscito a riscuotere un incredibile successo internazionale, culminato nella vittoria degli Oscar a “La vita è bella” come Miglior film straniero e Migliore Attore (impresa storica per un italiano), ma ha incominciato a parlare in maniera trasversale come solo i grandissimi personaggi sanno fare.
Mescolando concetti difficili a riferimenti popolari, e viceversa, Benigni dimostra di essere uno dei maggiori esponenti della sfera culturale della nostra epoca, di sapere dialogare a qualsiasi genere di audience, e, soprattutto, di farsi capire con incredibile chiarezza. Oggi, infatti, se c’è un’emergenza nella politica è quella di lasciarsi intendere senza troppi giri di parole. Un baratro che, non a caso, riescono a colmare solo le personalità eccezionali, fuori dagli schemi, di cui Benigni è massimo esponente, e i dati sono lì a confermarlo.
All’attore toscano andrebbero tributati onori istituzionali per quanto realizzato negli ultimi anni, riuscendo a trasformare un poeta ostico, ma alla base dell’identità nazionale, come Dante Alighieri in un argomento da palazzetto dello sport o da concerto in piazza. L’opera di divulgazione portata in giro per l’Italia – e non solo – sulla Commedia dantesca, è certamente il lascito più importante dell’ex piccolo diavolo. Ma come dimenticare, nelle ultime apparizioni televisive, anche la lettura della prima parte della Costituzione, e, quest’anno, il doppio, trionfale appuntamento dell’esegesi sui Dieci comandamenti.
Testi, codici, opere e personaggi lontani tra loro secoli, se non millenni, ormai relegati alle polverose aule di licei e università, che improvvisamente diventano argomenti acchiappa-share, in grado di surclassare partite di calcio, talk show, fiction. Semplicemente, perché, grazie a Benigni, vanno al cuore di chi guarda, e alla testa di chi ascolta. Un presidente così, davvero, potrebbe farci sentire orgogliosi di essere italiani.
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