Come noto, infatti, il premier Matteo Renzi non ha fatto mistero di voler modificare la normativa sui contratti e, in particolare, quella sui licenziamenti, mettendo mano al simbolo per eccellenza delle conquiste dei lavoratori, quell’articolo 18 che per decenni ha svolto la funzione di scudo protettivo contro le brusche e immotivate interruzioni di rapporti di lavoro a discrezione dell’imprenditore.
Sindacati e minoranza Pd si sono scagliati contro il governo, reo di voler abbattere l‘ultimo baluardo contro la discrezionalità dei licenziamenti da parte dei datori di lavoro. Un braccio di ferro che, comunque, ha ottenuto una prima vittoria nel portare il governo a rivedere il testo sul Jobs Act, con il maxiemendamento al cui interno l’articolo 18 non è stato neppure menzionato.
Però, in riferimento alla disciplina dei licenziamenti, un orientamento sembra emerso, sia dalle varie direzioni di partito che hanno portato allo scontro favorevoli e contrari al superamento dell’articolo 18, che nella breve ora di confronto con le sigle sindacali, incapaci, in questo marasma, di esprimere una posizione unitaria.
Cosa cambia per i licenziamenti
Come noto, l’articolo 18, nelal formulazione residua dopo le parziali modifiche apportate dalla riforma Fornero del 2012, prevede la possibilità di ricorrere al giudice nel caso di tre tipologie di licenziamenti, se ritenuti illegittimi:
economico
disciplinare
discriminatorio
Nel primo caso, il lavoratore viene lasciato a casa in seguito a ristrutturazioni aziendali, oppure per decisione arbitraria del datore di lavoro che voglia tagliare i costi del personale. In tal caso, al lavoratore rimane la facoltà di rivolgersi all’autorità giudiziaria, che potrà esprimersi qualora ritenga illegittimo il licenziamento, disponendo anche il reintegro in azienda.
Nel secondo caso, invece, si tratta di qualche comportamento che ha interrotto il rapporto fiduciario tra committente e lavoratore, oppure della mancata esecuzione delle mansioni affidate. Anche in questo caso, è possibile portare la vicenda di fronte al responso del giudice, che pu ordinare il reintegro.
Quadro simile per i licenziamenti discriminatori, che rimangono completamente protetti dalle garanzie comprese nell’articolo 18.
Cosa vuole fare Renzi. Nei giorni scorsi, si è parlato di una possibile revisione dell’articolo 18 nei termini in cui, in caso di licenziamento ritenuto illegittimo di tipo economico o disciplinare, al posto del reintegro, debba essere lo Stato a sobbarcarsi il sostegno del lavoratore per un periodo limitato, di durata variabile a seconda della storia contributiva del soggetto.
Per definire in maniera ancora più compiuta la materia, l’esecutivo ha preso l’impegno di definire esplicitamente i casi in cui il licenziamento disciplinare vada ritenuto illegittimo, uscendo così dal limbo della discrezionalità dell’autorità giudiziaria. Nessun cambiamento, infine, è previsto per i licenziamenti discriminatori, che prevederanno sempre il reintegro della vittima.
Questo il quadro che dovrebbe venire a realizzarsi nei prossimi mesi, quando, cioè, il ddl Jobs Act verrà approvato definitivamente e il governo inizierà a esercitare la potestà legislativa in materia di lavoro. Fino ad allora, la disciplina non verrà modificata.
Vai al testo del maxiemendamento al Jobs Act
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