Il contenuto della legge di stabilità prospetta interventi pari a 26 miliardi da qui al 2016 compreso, con 11 miliardi destinati all’anno venturo i quali, naturalmente, saranno i principali indiziati per scatenare un acceso dibattito tra Montecitorio e palazzo Madama.
Sono tante, infatti, le materie che la legge di bilancio ha deciso di toccare per i prossimi mesi e, nonostante il governo si sia prodigato nel comunicare il mancato innalzamento delle tasse, con la pressione fiscale in discesa di poco meno di un punto, c’è già chi storce il naso di fronte al piano di ridefinizione della spesa pubblica.
Si tratta, in particolare, dei sindacati, che hanno già minacciato lo sciopero generale dei dipendenti statali se le norme contenute nel ddl stabilità non cambieranno alla svelta: tra le sgradite novità, la proroga del blocco ai contratti e lo stop al turnover.
Difficile, invece, attendersi altre novità nel comparto del fisco immobiliare: con il decreto di abolizione dell’Imu ormai giunto a destinazione – manca solo il bollino del Senato per convertirlo in legge definitivamente – sembrano intoccabili sia Tari che Tasi, i due volti della Trise, la nuova tassa che andrà a prendere il posto dell’imposta sugli edifici e della Tares, quella sui rifiuti.
Più probabile, invece, che si discutaa lungo sulle pensioni, uno dei capitoli più bistrattati in legge di stabilità: dopo annunci di uscite flessibili, di incentivi all’esodo e altre promesse mancate, nel testo approvato dal governo si è trovato spazio per il blocco delle indicizzazioni oltre i 3mila euro, più il contributo di solidarietà per gli assegni d’oro oltre i 100mila annui. Quest’ultimo punto, però, pare già in bilico per via delle resistenze dei ministri Pdl: si preannunciano lotta serrata tra i banchi delle Camere e nuovi motivi di frizione in maggioranza.
Un altro punto fondamentale riguarda il taglio del cuneo fiscale: le fanfare della vigilia, una volta presentato il testo, hanno lasciato spazio al duro impatto con la realtà: secondo le simulazioni, infatti, l’incremento in busta paga si tradurrà, per i lavoratori con reddito entro i 15mila euro, in appena 14 euro al mese in più: non proprio una rivoluzione. Ma c’è ancora tutta la strada del dibattito in Parlamento per migliorare lo sgravio dei contributi e renderlo davvero in grado di incidere sui bilanci di aziende e famiglie.
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