Un dibattito certo non nuovo, che animò anche l’assemblea costituente, che allora era basato però sulle valutazioni dell’assetto complessivo dell’ordinamento costituzionale e non certo ispirato dalle spinte demagogiche di oggi, pur fondate dall’esigenza di ridurre i costi della politica.
Iscriversi al partito abolizionistico è impresa molto semplice e portatrice di consenso.
Abolizione è divenuta sinonimo di riformismo e di efficientismo.
Ma cerchiamo adesso di verificare gli effetti sull’ordinamento giuridico della sentenza della Corte Costituzionale e le criticità e i limiti del disegno di legge costituzionale approvato dal Governo il 5 luglio.
La sentenza della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, dopo l’udienza del 2 e 3 luglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
dell’art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214;
degli artt. 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135
per violazione dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma lett. p) e 133, 1° comma Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio.
Con la pronuncia della Corte, viene meno l’intero impianto del cosiddetto riordino delle Province voluto dal Governo Monti.
Un riordino che avrebbe dovuto condurre alla trasformazione delle Province in enti elettivi di secondo grado, ad una riduzione delle funzioni, al riordino delle circoscrizioni provinciali con la riduzione dell’attuale numero delle Province sulla base di criteri prefissati dal Consiglio dei Ministri e l’istituzione delle città metropolitane in luogo di dieci province.
Una riforma confusa e disorganica, che non ha tenuto conto delle funzioni effettivamente svolte dalle Province, imposta dall’alto con provvedimenti di urgenza del Governo, giustificati dalla crisi economica, senza che mai lo stesso Governo sia riuscito a quantificare i risparmi derivanti dalla riforma, incurante delle pronunce della Corte Costituzionale.
Oggi, pur in attesa delle motivazioni della sentenza, si ribadisce il contrasto con la Costituzione di decreti legge per realizzare una riforma organica e di sistema in particolare con riferimento alla riserva di legge ordinaria dello Stato la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione).
La Corte sottolinea anche il contrasto con l’art. 133, comma 1, “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione”, una norma chiara ed inequivocabile ignorata del tutto dalla proposta di riordino basata su criteri predisposti con delibera del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012.
Diversamente da chi sostiene che questa sentenza di accoglimento della Corte costituzionale produrrà un vuoto normativo, tesi peraltro più volte esclusa dalla stessa Consulta e da parte della dottrina, è da ritenere che si abbia un’immediata reviviscenza di quelle disposizioni normative abrogate dal decreto-salva Italia e da quello sulla spending review, con la conseguenza che si dovrà procedere al rinnovo del Consiglio provinciale e all’elezione diretta del Presidente nella prima tornata elettorale utile, come del resto prescrive l’art. 141, comma 4, del Testo unico enti locali1.
Vediamo nel dettaglio gli effetti della sentenza2.
Il sistema di governo provinciale.
Il comma 15 del citato art. 23 del D.L. n. 201/2011 aveva disposto l’eliminazione della Giunta Provinciale, limitando gli organi di governo della Provincia al Consiglio e al Presidente della Provincia.
Ai sensi del successivo comma 16, era previsto che il Consiglio fosse composto da non più di 10 membri, eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio provinciale, secondo le modalità stabilite da successiva legge statale, da approvarsi entro il 31 dicembre 2012 (termine poi prorogato al 31 dicembre 2013 dall’art. 1, comma 115, della L. n. 228/2012).
A tale legge era, altresì, demandata la disciplina delle modalità relative all’elezione del Presidente della Provincia da parte del Consiglio provinciale tra i suoi componenti (comma 17).
Il successivo art. 17 del D.L. n. 95/2012, al comma 12, aveva poi confermato che gli organi di governo della Provincia fossero esclusivamente il Consiglio e il Presidente della Provincia.
Con la dichiarazione di incostituzionalità di tali norme, rimane immutata la disciplina dell’art. 36, comma 2, del D. Lgs. 267/2000, a norma della quale viene annoverata tra gli organi di governo della Provincia, al fianco del Consiglio e del Presidente, anche la Giunta, nominata dal Presidente stesso. A tale organo continuano ad essere demandate le competenze individuate dall’art. 48 del D. Lgs. 267/2000.
La caducazione delle previsioni che delineavano un sistema di elezione di secondo grado degli organi provinciali determina, poi, la permanenza in vigore del sistema di elezione diretta del Consiglio e Presidente della Provincia.
I commissariamenti
Il comma 20 del citato art. 23 prevedeva l’applicazione, fino al 31 marzo 2013, dell’art. 141 del T.U.E.L. nei confronti degli organi provinciali che dovevano essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012.
Gli organi provinciali che, invece, avrebbero dovuto essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 sarebbero rimasti in carica fino alla scadenza naturale.
Il richiamo all’art. 141 aveva da subito suscitato molte perplessità in quanto individua le ipotesi tassative di scioglimento anticipato dei consigli provinciali e comunali; non dispone alcunché ovviamente in tema di sospensione del rinnovo elettorale; al contrario al comma 4 precisa che “Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge”.
E’ apparsa subito dubbia la compatibilità con il nostro ordinamento giuridico che da tali disposizioni, siano derivati come effetti che:
- La sospensione delle elezioni amministrative per il rinnovo di vari consigli provinciali pur in assenza di una nuova disciplina elettorale
- L’estensione dell’applicazione della normativa straordinaria sullo scioglimento anticipato di organi democraticamente eletti e sul commissariamento di Enti costitutivi della Repubblica ad una fattispecie nuova, diversa, non patologica, introdotta con decreto legge e riferita alla scadenza naturale degli organi stessi.
Successivamente, l’art. 1, comma 115, della L. n. 228/2012 ha previsto la nomina di un commissario straordinario ex art. 141 del T.U.E.L. per la provvisoria gestione dell’ente fino al 31 dicembre 2013 laddove, tra il 5 novembre 2012 ed il 31 dicembre 2013, si verificassero:
- la scadenza naturale del mandato degli organi delle province;
- la scadenza dell’incarico di Commissario straordinario delle province nominato ai sensi del D.Lgs. n. 267/2000;
- altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente.
È stato, altresì, stabilito che il Presidente, la Giunta e il Consiglio della Provincia restano in carica fino alla naturale scadenza dei mandati.
L’art. 1, comma 115, della L. n. 228/2012 non costituisce oggetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Pertanto, le previsioni recate da tale articolo sembrano conservare vigenza ed efficacia, continuando a trovare applicazione alle ipotesi di scadenza o cessazione anticipata degli organi provinciali, o di scadenza del commissario straordinario precedentemente nominato.
Si pone, dunque, l’esigenza di verificare in che modo la suddetta disposizione possa conciliarsi con il quadro normativo risultante a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’intervento di riordino e riforma delle Province di cui agli artt. 23 del D.L. n. 201/2011 e 17 e 18 del D.L. n. 95/2012.
In attesa della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, dalla quale potranno trarsi elementi utili a risolvere la suddetta questione, sembra legittimo fin da ora ipotizzare che, alla stregua di una lettura sistematica, l’art. 1, comma 115, della L. n. 228/2012 possa essere interpretato come disciplina di carattere transitorio fino al 31 dicembre 2013, in attesa di una futura riforma organica dell’ente locale provincia, attuata nelle forme e con gli strumenti compatibili con il dettato costituzionale.
Laddove entro il 31 dicembre 2013 non intervenissero modifiche legislative, conformemente al principio di continuità il commissariamento dell’ente provinciale potrebbe comunque protrarsi fino alla data di svolgimento dell’elezione degli organi delle Province commissariate, in applicazione dell’art. 141 del T.U.E.L.
A norma dell’art. 1 della L. n. 182/1991, ad oggi il primo turno elettorale utile coincide con il periodo compreso tra il 15 aprile ed il 15 giugno 2014.
Peraltro, ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, è necessario che la fissazione da parte del Ministro dell’interno della data per lo svolgimento delle elezioni avvenga non oltre il cinquantacinquesimo giorno precedente quello della votazione.
Funzioni delle Province
L’art. 23, comma 14, del D.L. n. 201/2011, aveva limitato le funzioni provinciali a quelle di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Secondo quanto disposto dal comma 18 dello stesso articolo, lo Stato e le Regioni, con legge, secondo le rispettive competenze, avrebbero dovuto trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni precedentemente attribuite alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse fossero acquisite dalle Regioni.
In caso di inerzia regionale, era rimesso allo Stato il potere di provvedere con legge in via sostitutiva ai sensi dell’art. 8 della L. n. 131/2003.
Contestualmente, il comma 19 disponeva il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della Provincia.
Con il successivo art. 17, comma 6, del D.L. n. 95/2012, il legislatore statale aveva quindi dato attuazione all’art. 23, comma 18, del D.L. n. 201/2011, disponendo il trasferimento ai Comuni delle sole funzioni amministrative provinciali rientranti nelle materie di competenza esclusiva statale, ferme le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività comunali riconosciute alle Province dal citato art. 23, comma 14.
L’individuazione delle funzioni statali da trasferire era rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Con successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dell’interno, per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, si sarebbero dovuti individuare i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all’esercizio delle funzioni trasferite.
Il comma 10 dell’art. 17 del D.L. n. 95/2012 riconosceva, poi, alle Province una serie di funzioni di area vasta1 ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p), Cost.
L’art. 1, comma 115, L. n. 228/2012, ha tuttavia definito tale attribuzione come transitoria nelle more del riordino delle circoscrizioni territoriali.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 115, della L. n. 228/2012, l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e 19 dell’art. 23 del D.L. n. 201/2011 (relativi al trasferimento di funzioni e risorse dalle Province ai Comuni) è stata sospesa fino al 31 dicembre 2013.
Orbene, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale delle predette disposizioni dell’art. 23 del D.L. n. 201/2011 e dell’art. 17 del D.L. n. 95/2012, viene espunta dall’ordinamento la previsione secondo la quale lo Stato e le Regioni erano tenuti a provvedere con legge al trasferimento, nei confronti dei Comuni, delle funzioni spettanti alle Province in virtù della normativa statale e regionale.
Conseguentemente, le Province mantengono le funzioni precedentemente attribuite ai sensi della legislazione statale e regionale, conservando altresì immutata la dotazione di beni e risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all’esercizio delle funzioni predette, così sintetizzabili:
- Viabilità
- Costruzione, manutenzione e gestione degli edifici scolastici di istruzione superiore;
- Tutela dell’ambiente (gestione dei rifiuti, emissioni in atmosfera, scarichi, valutazione di impatto ambientale, ecc.) e difesa del suolo;
- Pianificazione territoriale
- Trasporto pubblico locale (servizio extraurbano)
- Politiche attive del lavoro e centri per l’impiego;
- Formazione professionale
- Protezione civile
- Caccia e pesca
- Polizia Provinciale
- Assistenza scolastica ai disabili sensoriali della vista e dell’udito e trasposto scolastico (per le scuole superiori) dei disabili;
- Turismo
- Assistenza tecnica e amministrativa agli enti locali del territorio provinciale.
In ogni caso, le Regioni potranno procedere, ai sensi dell’art. 118 Cost., al conferimento agli enti provinciali di funzioni amministrative ulteriori rispetto a quelle già attribuite, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Cfr. Prof. Daniele Trabucco, La Corte Costituzionale salva le Province. Bocciata la riforma, su LeggiOggi.it
Cfr. Avv. Francesco Fanasca, Prime valutazioni in ordine al comunicato stampa della Corte Costituzionale, su Federalismi.it n. 14/2013
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