Dunque, due uomini profondamente diversi per anagrafe, provenienza, cultura e propositi si contendono il ruolo di guidare un governo che, in ogni caso, imboccherà una strada a dir poco tortuosa.
Dopo la strigliata di ieri in occasione del secondo giuramento, infatti, il Capo dello Stato non accetterà ritardi sulle riforme ritenute più urgenti, prima tra tutte le legge elettorale che necessita di essere riscritta dal lontano 2005: appuntamento regolarmente rinviato per interesse della forze politiche a rendere incerta la governabilità, come accaduto in più di un’occasione.
Resta, ora, da chiarire se i partiti che verosimilmente appoggeranno questa soluzione delle larghe intese, cioè le forze che hanno accordato fiducia a Napolitano per il secondo incarico, sceglieranno di farsi rappresentare da una vecchia conoscenza delle istituzioni – Giuliano Amato – o dalla promessa più splendente del martoriato arco politico, quel Matteo Renzi che non perde occasione di criticare il proprio partito, il Pd, e che, forse per questa ragione piace tanto anche a destra.
Al momento, tra i due il più quotato a raccogliere il testimone da Mario Monti sembra proprio il primo cittadino di Firenze, anche se il sempiterno dottor Sottile non ha alcuna intenzione di darsi per vinto, tanto è vero che, nelle ultime ore, ha voluto sfatare il mito della pensione da 30mila euro mensili di cui sarebbe destinatario: “Sono 11 mila e 500 netti”, ha tenuto a puntualizzare (forse perché nella quarta settimana la cinghia stringe).
Dal canto suo, Renzi deve fare i conti con l’onda montante della rete, che teme di vedere bruciato uno dei suoi favoriti per una prova di governo che si annuncia faticosissima per un leader che abbia intenzione di ripresentarsi alle elezioni e guidare, successivamente, una maggioranza scelta dagli italiani (Monti docet).
Naturalmente, la decisione finale spetterà solo al Capo dello Stato, anche se non è un mistero che, forse, dalle parti di Pdl e Lega nord si preferisca puntare sull’usato sicuro – Amato, già premier nel 1992 e nel 2000 – piuttosto che fare un salto nel buio con Renzi, il quale, ad esempio, ha più volte dichiarato di voler abolire il finanziamento pubblico ai partiti, o, ancora, di attendersi una legge sul conflitto d’interessi.
A ben vedere, queste proposte, almeno in parte, incontrerebbero le direttive lasciate dai fantomatici saggi di Napolitano, rimasti in carica qualche settimana prima della rielezione presidenziale. Nella loro “ricetta” per salvare il Paese, infatti, le due Commissioni di esperti avevano messo ai primi posti proprio una legge incisiva sul conflitto d’interessi a tutti i livelli, contro la corruzione, senza, però, avallare l’eliminazione tout court dei rimborsi elettorali.
Questo il terreno politico che l’esecutivo Amato – o Renzi – si troverà ad affrontare. Sul fronte economico, invece, le prerogative sono le medesime e, forse, ancor più rilevanti in termini di appoggio dell’opinione pubblica: finanziamento degli ammortizzatori sociali, attuazione del decreto per i pagamenti della Pa, incentivi all’occupazione – soprattutto giovanile – e sgravi fiscali su imprese e lavoratori.
Sostanzialmente, una montagna da scalare per chi, dei due, riceverà il amndato da Napolitano. A rischiare di più, indubbiamente, è l’astro nascente Renzi, il quale potrebbe pagare a caro prezzo un’esperienza non pienamente soddisfacente. Per Amato, invece, resta la freddezza con cui il nuovo governo verrebbe accolto dall’opinione pubblica: tutti, infatti, dopo le recenti vicende di Cipro, ricordano come fu proprio il primo governo Amato ad attuare, in Italia, il prelievo forzoso sui conti correnti. Un precedente che, coi tempi che corrono, non è certo il miglior viatico per guidare un esecutivo di riappacificazione nazionale tra elettori ed eletti.
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