Licenziamento: ecco come difendersi. Parla l’esperto

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La preoccupazione nei lavoratori aumenta di giorno in giorno visto che, non bastasse la precarietà, possono essere molti i fattori da cui può dipendere la perdita del lavoro, così ci siamo rivolti ad una dei massimi esperti nel settore, l’avv. Rocchina Staiano professoressa a contratto in Medicina del Lavoro e Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro presso l’Università di Teramo.

La Staiano, autrice del libro “Cassa integrazione e licenziamento dopo la riforma”, in questa intervista cerca di fornire al lavoratore tutti i mezzi giuridici e legali per fronteggiare il licenziamento e per spiegare quelle zone grige che il diritto in materia di licenziamenti lascia.

Quando il licenziamento si intende per giusta causa?

Per stabilire l’esistenza della giusta causa di licenziamento, occorre accertare in concreto, se la specifica mancanza commessa dal dipendente risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente.

Ciò in relazione alla natura ed alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava.

La mancanza deve essere considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, e deve quindi essere tale da esigere sanzioni non minori di quella massima, definitivamente espulsiva.

In quella circostanza il lavoratore cosa può fare per tutelarsi?

Nel caso di ingiusta causa di licenziamento, il nuovo art. 18 della L. 300/1970, modificato dalla L. 92/2012, c.d. Riforma Fornero, ha previsto l’applicazione di due nuovi regimi sanzionatori, alternativi tra loro:

  1. la tutela reintegratoria attenuata (commi 4 e 7 del nuovo articolo 18): in caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo addotti dal datore di lavoro è previsto in ogni caso l’obbligo di reintegrazione del lavoratore. Questo è dovuto nelle imprese oltre i 15 dipendenti o oltre i 5 in imprese agricole, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria pari ad un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. 

    Quando si ritengono insussistenti la giusta causa o il giustificato motivo oggettivo?

    Non esiste giusta causa o giustificato motivo oggettivo quando: non sussiste il fatto contestato; il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili nell’ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.

    Va dedotto dall’indennità quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.

  2. la tutela meramente obbligatoria (commi 5 e 7, secondo e terzo periodo, del nuovo articolo 18): nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo oggettivo, c.d. licenziamenti per motivi economici e nelle altre ipotesi in cui si accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa (ad esempio licenziamento disciplinare senza reintegra) non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro ed il giudice riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale.

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Quali sono le differenze principali tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo?

Costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui le nozioni di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento si distinguono con riguardo alla maggiore gravità della violazione contrattuale addebitata al dipendente licenziato per giusta causa rispetto a quella della violazione addebitata per giustificato motivo.

Quest’ultima deve comunque fondarsi su comportamenti di entità tale da poter scuotere la fiducia del datore di lavoro, fermo restando, peraltro, che la c.d. nozione contrattuale di giustificazione si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella, per l’appunto, di giustificato motivo (art. 3 della L. 604/1966).

In particolare, la (nozione etico – sociale di) giusta causa, come, d’altronde si evince chiaramente dalla stessa formulazione dell’art. 2119 c.c., deve essere tale da creare uno stato di disagio talmente grave ed insopportabile da rendere impossibile la ulteriore prosecuzione del rapporto, potendo, peraltro, all’uopo venire in rilievo fatti anche estranei alla sfera, del contratto, che siano comunque sempre tali, da far venir meno, per l’appunto, l’elemento fiduciario.

Mobbing è un fenomeno tristemente noto sul luogo di lavoro. Quali sono i mezzi in possesso del lavoratore per difendersi da questi fenomeni?

I mezzi sono il ricorso all’art. 700 c.p.c. oppure il ricorso al giudice del lavoro.

Che cosa prevede la legge in merito?

Purtroppo, in Italia, non abbiamo una legge sul mobbing, di conseguenza c’è stata una rivalutazione dell’art. 2087 c.c., il quale sancisce una serie (aperta) di obblighi del datore di lavoro di tutela, nell’ambiente di lavoro, dei diritti fondamentali e assoluti del prestatore di lavoro alla salute ed alla dignità umana e sociale.

Questi obblighi entrano, in forza dell’art. 1374 c.c., direttamente nel regolamento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato e rappresentano, quindi, altrettanti limiti di legittimità “all’uso dei poteri contrattuali da parte del creditore” della prestazione.

Essa si configura, dunque, secondo un orientamento dottrinale, quale norma in grado di tutelare il lavoratore “di fronte a tutti i possibili comportamenti lesivi della sua integrità psico-fisica qualunque ne siano la natura e l’oggetto” posto che l’ampia formula di tale previsione impone al datore di lavoro di salvaguardare tanto l’integrità fisica quanto la personalità morale del lavoratore: ciò ben al di là del rispetto della normativa infortunistica “secondo quella che è l”intrinseca vocazione” della disposizione alla tutela dei valori della persona”.

L’utilizzazione della direttiva contenuta nell’art. 2087 c.c. permetterebbe così di ricondurre al datore di lavoro non solo i comportamenti vessatori a lui direttamente ascrivibili ma anche le condotte ostili di dirigenti, collaboratori e dipendenti (c.d. mobbing orizzontale) che non siano state dallo stesso impedite o scoraggiate.

Nel momento in cui un lavoratore viene licenziato di quali ammortizzatori sociali può beneficiare?

L’ammortizzatore sociale riformato con il c.d. Jobs Act è il Naspi. Per il 2017 sono state approvate alcune significative modifiche, riportate qui di seguito. In particolare, dal 1° gennaio 2017 scompare la definitivamente l’assegno di mobilità, previsto per le imprese con più di 15 dipendenti e sostituito con il nuovo assegno di disoccupazione Naspi.

La conseguenza notevole è la riduzione della durata del godimento del beneficio e del suo ammontare. La durata massima del sussidio sarà infatti di 24 mesi per tutti i lavoratori che abbiano perso il posto di lavoro per cause a loro non imputabili, e che possano far valere almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 48 mesi.

Scompare anche la distinzione per fasce d’età. Inoltre, l’assegno non sarà più pari al 100% dello stipendio, nemmeno il primo anno: è infatti previsto un assegno non superiore al 75% dello stipendio se questo non supera i € 1.195 euro; mentre per gli importi eccedenti saranno conteggiati solo per il 25% e non potrà essere superare a € 1.300 lordi al mese con una riduzione del 3% a partire dal 4° mese di erogazione

Terminato il sussidio NASPI, è possibile solo richiedere l’Aspi, per un massimo di 6 mesi e per un importo pari al 75% della Naspi.

Quali sono i nuovi sussidi 2017?

Nel 2017 sono introdotti anche due nuovi sussidi sociali:

  1. l’assegno di ricollocazione: richiedibile dai percettori della Naspi e che non hanno trovato un’occupazione stabile, dopo 4 mesi dall’avvio del sussidio. In definitiva questo non sarebbe altro che un voucher, del valore massimo di 5.000 euro, spendibile solo presso ilcentro dell’impiego pubblici o presso le agenzie interinali, al fine di ricercare un nuovo lavoro.
  2. Carta Sia: riservata alle famiglie di disoccupati che vertono in situazioni di difficoltà economica e che non percepiscono altri assegni di disoccupazione

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Il licenziamento disciplinare rientra nella casistica per giusta causa o per giustificato motivo?

Il licenziamento disciplinare, pur integrando un’ipotesi particolare di recesso, caratterizzato da una specifica procedura, rientra nella tipologia del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, poiché l’infrazione contestata (per giustificare la più grave tra le sanzioni disciplinari), deve necessariamente dar luogo, alla stregua delle affermazioni del datore di lavoro, o ad una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (artt. 1 L. n. 604/1966 ed art. 2119 c.c.) o ad un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore (art. 3 L. 604/1966).

Di conseguenza, il licenziamento per giusta causa ed il licenziamento per giustificato motivo soggettivo sono entrambi dei licenziamenti disciplinari; infatti il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare, con la contestazione dell’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, è tenuto alla valutazione della proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto alla gravità del fatto addebitato al lavoratore e dallo stesso commesso.

Tale valutazione attiene all’accertamento di un elemento costitutivo della fattispecie giustificativa del licenziamento, la cui sussistenza deve essere verificata in ogni caso in cui sia contestato il presupposto del legittimo esercizio della facoltà di recesso del datore di lavoro.

Jobs Act: licenziamenti e contratto a tutele crescenti

Aggiornato con il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 attuativo della Legge 10 dicembre 2014, n. 183, il testo esamina nel dettaglio gli aspetti più controversi del Jobs Act,la nuova riforma del mercato del lavoro varata dal Governo Renzi, emanata al termine di un travagliato iter parlamentare: la nuova disciplina dei licenziamenti, l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’introduzione del nuovo istituto del contratto a tutele crescenti per i neo-assunti.Il volume illustra le novità della riforma, mette a confronto la nuova disciplina con quella previgente e fornisce al Professionista chiarimenti, commenti e risposte a quesiti pratici, grazie all’ausilio di schemi, tabelle riepilogative e riquadri di esempio.P. Stern, Consulente del Lavoro a Roma. È Partner dello studio Stern– Zanin & Avvocati Associati e socio fondatore di Stern – Zanin Servizi d’Impresa srl. Esperto della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. G. Primicerio, Avvocato in Roma. F. Potì, Avvocato in Roma.A. Marola, Iscritta all’Ordine degli Avvocati di Roma dal 9 novembre 2007. Avvocato dello Studio Stern – Zanin & Avvocati Associati.

Paolo Stern, Giulia Primicerio, Francesca Potì, Alessandra Marola | 2015 Maggioli Editore

Quando si può parlare di licenziamento discriminatorio?

In materia di discriminazione, possiamo distinguere varie ipotesi:

  • Licenziamento discriminatorio per motivi sindacali e politici;
  • Licenziamento discriminatorio per rappresaglia;
  • Licenziamento discriminatorio per motivi di razza e di origine etnica;
  • Licenziamento discriminatorio per motivi di genere
  • Licenziamento discriminatorio per altri fattori.

Con la c.d. Riforma Fornero, ossia la L. 92/2012, in caso di licenziamento nullo, cui rientra il licenziamento discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto, o intimato in forma orale, si applica la tutela reintegratoria piena (commi 1 – 3 del nuovo articolo 18).

Ciò significa che le attuali  disposizioni confermano sostanzialmente la normativa vigente, che prevede la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (tutela reale), indipendentemente dal motivo formalmente addotto e dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, nonché un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità). Resta fermo che il lavoratore può optare, in alternativa, per un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale.

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Alessandro Camillini

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