Al carico sono stati poi sottratti tre anni scontati dall’indulto e 1.800 giorni di liberazione anticipata. Si chiude così, dopo 22 anni meno quattro giorni di carcerazione, il conto di Maso con la giustizia. A seguito della pena inflittagli in Cassazione, l’uomo stese una prima lettera di pentimento. Si sono poi succeduti i lunghi anni della detenzione, con i riflettori della cronaca sempre rigorosamente puntati sulle evoluzioni del caso. Nel 2008 Maso si è sposato, dietro l’ottenimento, non indenne alle polemiche, della condizione di semilibertà che gli ha permesso, durante il giorno, di scontare la pena lavorando al di fuori dall’istituto detentivo.
Lo stesso beneficio, Maso ha rischiato di perderlo nell’aprile 2011, in occasione dell’esplicitazione di una frase equivoca, “io ti ammazzo”, che l’uomo si lasciò sfuggire nei confronti di un individuo a cui aveva prestato del denaro. Una frase che però il condannato ha costantemente negato di aver mai pronunciato. Il tribunale di sorveglianza decise dunque di convalidare la semilibertà, la quale tuttavia non fu convertita, a un anno di distanza, nella la rispettiva richiesta di uscita carceraria che venne di contro respinta dal giudice di sorveglianza, il quale commutò la pena in detenzione domiciliare. Oggi, l’attesa è finita: a Montecchia, dove la villetta in cui si svolse l’atroce delitto è oramai venduta da tempo, nessuno attende il suo ritorno.
Parole di sdegno gli sono anzi riservate dallo stesso sindaco del paese, Edoardo Pallaro che ha dichiarato ai giornalisti: “Non è più nostro cittadino. Il paese ha voltato pagina, in tutti i sensi“. L’uomo incolpato del massacro dei genitori, ha spiegato Roberta Cossia, il magistrato di sorveglianza che ha firmato il fine pena, attualmente è a tutti i diritti “un cittadino come gli altri e così dovrà essere considerato”. Pietro Maso ha persino deciso di raccontare in un libro, intitolato “Il male ero io”, già uscito in pubblicazione, gli eventi ripercorrenti l’uccisione dei genitori Antonio e Mariarosa, commessa per l’appropriazione della rispettiva eredità.
“Sono in piedi accanto ai loro corpi. Morti. Una linfa gelata mi è entrata dentro, nelle vene, nelle ossa, nel cervello”, riporta Masi in un estratto della narrazione. Il resoconto dell’assassinio appare nitido, quasi consapevole: “Vado in bagno. Devo lavarmi. Apro a manetta l’acqua calda, tengo la testa bassa. Fisso le macchie sul dorso delle mani. E’ sangue. E’ il sangue di mio padre. E’ il sangue di mia madre. Ci è schizzato sopra, sulle dita”. Il cittadino veronese descrive anche come l’impatto con il carcere, proprio per lui che veniva da una giovinezza ‘spensierata’, circondato da amici, abiti firmati e discoteche, si rivelò un autentico choc.
“Chi avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe accaduto -si legge nel libro- l’omicidio, il carcere. Di lì a poco non avrei avuto neppure un paio di slip per cambiarmi. Per anni ho avuto addosso solo i vestiti unti e consumati che qualche detenuto mi lasciava per pietà”. Oggi, uscito ufficialmente dal penitenziario di Milano, l’uomo andrà a vivere con la donna che ha sposato. Con il ritorno alla libertà, Pietro Maso inoltre non lavorerà più negli uffici del Provveditorato regionale delle Carceri, dove era addetto alle le pulizie, dal momento che la definitiva scarcerazione ha fatto automaticamente decadere il contratto. Ora, l’auspicio più grande è che, per una volta tanto, la funzione reintegrativa e sociale della pena, sancita imprescindibilmente dal testo costituzionale, sia valsa concretamente a qualcosa.
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