Nel 2011 la commissione incaricata di colmare le deficienze all’interno dello Ior è stata destituita proprio dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, bloccando così ogni possibilità di scambio e d’ispezione. Gli unici a cui rimaneva potere di pieno visionamento sulle casse dell’Istituto, oltre allo stesso Bertone, erano il suo plenipotenziario Monsignor Ettore Balestrero, e il direttore generale Paolo Cipriani. I confini della tristemente nota vicenda Vatileaks si erano, con ciò, del tutto delineati. A inizio 2012 interviene a risanamento dell’Istituto bancario vaticano anche l’Aif, l’Autorità d’Informazione finanziaria, nella persona di Attilio Nicora, alla testa dell’istituzione, che viene però opportunamente esonerato. Anche un gruppo ristretto di giuristi e banchieri di fede cattolica, tra cui Gotti Tedeschi, De Pasquale, e Pallini, tutti ai vertici Aif, commissionati per l’affiancamento al ripristino, vengono presto allontanati. Al posto di Gotti Tedeschi alla presidenza Aif viene nominato Hermann Schmitz, ex ad di Deutsche Bank.
Le casse dello Ior diventano dominio assoluto di Bertone, al cui fianco si aggiornano i nomi di Giuseppe Varsaldi, al vertice della Prefettura affari economici e commissario dell’Idi di Roma, ora in bancarotta, e quello di Domenico Calcagno, amministratore del patrimonio dell’Apsa, la sede apostolica. Subentra, poi, a ruolo dirigenziale dell’Aif il lussemburghese René Bruelhart. I banchieri laici interrogati dichiarano di non aver mai potuto accedere alle carte di bilancio dello Ior: “per quanto ci riguarda nelle casse dello Ior ci potrebbero anche essere i soldi di Bin Laden o di Riina”, commenta a caldo uno di loro. Sono infatti soltanto 25 mila coloro che risultano abilitati all’apertura di conti correnti (fondi) nell’istituto, e sono tutti rigorosamente ecclesiali, istituti religiosi o cittadini vaticani. Ognuno di loro, e qui viene al nodo un elemento cruciale, è autorizzato a delegare chi vuole per eventuali operazioni finanziarie, senza limiti temporali in termini di deleghe effettuabili né registri alcuni per i soggetti delegati.
Un sistema di riciclaggio in piena regola dunque dove chiunque, religioso, laico, criminale o mafioso, può risciacquare i soldi ricavati chissà dove. Cipriani insieme al rispettivo vice Tulli restano indagati per lo spostamento ‘sospetto’ di 23 milioni di euro attuato da Credito Artigiano e Banca del Fucino su JP Morgan. Non mancano anche eventi minori: nell’ordine si cita quello di Emilio Messina dell’arcidiocesi di Camerino, di don Evaldo Biasini (detto ‘bancomat’) coinvolto nell’indagine perugina sull’operato della Protezione civile, e di don Salvatore Palumbo della comunità religiosa di San Gaetano. Le cifre che vengono a galla sembrano astronomiche; soltanto a citarne uno di casi, quello su Palumbo, sotto la causale “Obolo per restauro convento” sono ben 151 mila gli euro al centro della presunta truffa.
Per il momento non si annovera alcun intento collaborativo nei confronti della magistratura, tuttavia lo Stato (il nostro) ha ben deciso di premunirsi contro eventuali disordini ulteriori, predisponendo dal 2011 una normativa ad hoc contro il riciclaggio, dalla quale lo Ior rimane volutamente estraneo, che tassativamente vieta di operare col Vaticano. Un mantra oscuro, dunque, sembra continuare ad avvolgere i meandri pontifici, celando dietro falsi bilanci e intrighi di potere interessi di lucro e speculazione, niente di più remoto dai princìpi predicati da Dio. Da solo, un Papa anziano, scrive De Gregorio, “non ha le forze per fronteggiare una struttura di potere interna ed esterna al Vaticano”; mai come ora la sua difficile rinuncia è sembrata a tutti una scelta più che ‘umana’.
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