Ecco spiegata la pressante aspettativa che numerosi prelati, e ancor più fedeli, riservano per la futura elezione: un Papa che sia di nuovo italiano. Tra i nomi che avanzano le successioni più papabili emerge quello di Angelo Scola, arcivescovo di Milano, la cui presunta candidatura sarebbe sostanuta non soltanto dai porporati italiani, quanto da quelli stranieri in vista dello spiccato impegno dimostrato su vari fronti internazionali.
Anche il nome del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e titolare di svariati incarichi presso la Santa Sede, risulta tangibilmente appetibile da molti fedeli che rivestono in lui una preferenza di primo livello.
Figura di rilievo, sia da un punto di vista religioso che politico, potrebbe essere quella di Angelo Bagnasco, arcivescovo di genova, attuale presidente della Conferenza episcopale italiana. Questi, ad oggi, sono i nomi più gettonati in vista della designazione del futuro Capo della chiesa.
Si profilano, poi, un po’ in sordina altri plausibili referenti, anche se indubbiamente meno noti e reclamizzati agli occhi dell’opinione pubblica. Il riferimento qui va al capo del dicastero per il clero, il genovese Mauro Piacenza; e all’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori.
Tra i meno vicini a Ratzinger pare collocarsi il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarciso Bertone, che nonostante l’acquisizione del ruolo di cardinale camerlengo, ovvero di gestore ufficiale della sede vacante, sembra il meno favorito dall’uscente pontefice.
Il versante estero, schiera tra gli esponenti stranieri maggiormente eleggibili dal Conclave l’austriaco Christop Schönborn, arcivescovo di Vienna e già allievo di Ratzinger, teologicamente ed anagraficamente in linea con le presumibili aspettazioni elettive.
Segue l’orientamento che verte sul canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, chiaramente ben noto all’attenzione della Curia e dello stesso Papa. Anche l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, negli ultimi Concistori non si è affatto sottratto all’interesse mediatico internazionale.
Infine, emergono le figure di Jose Horatio Gomez, arcivescovo di Los Angeles con origini messicane, e di Sean O’Malley, cardinale cappuccino di Boston. Dopo gli europei sembrano quindi gli americani a ricoprire il peso maggiore nella bilancia dei voti.
Tra gli ultimi profili ammissibili figurano: Oscar Maradiaga, presidente in carira della caritas; Pedro Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo originario dell’Honduras; l’italoargentino Leonardo Sandri, attualmente a presidio del dipartimento per le Chiese d’Oriente; Javier Lozano Barragan, messicano, presidente emerito del Pontifico consiglio della pastorale per gli operatori sanitari; e Jaime Ortega, arcivescovo fortemente attivista dell’Avana.
Anche il continente africano sembra poter rivendicare uno spessore non indifferente tramite le figure di Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto divino, nato in Nigeria; quella del guineiano Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; e quella del ghanese Peter Turkson, presidente del Pontifico consiglio di Giustizia e Pace.
Tra le fila asiatiche, invece, si pronuncia il nome del filippino Luis Tangle, metropolita di Manila, positivamente accostato a Wojtyla.
La riforma propugnata da Benedetto XVI nel 2007, modificando le regole elettive per il conclave, fa ora esigere una maggioranza comprensiva dei due terzi dei voti, anche nel caso del ballottaggio previsto dopo 34 scrutini. Si propina pertanto una scelta unitaria, senza divisioni alcune all’interno della Sistina.
Chi sarà ritenuto degno di ricoprire l’incarico papale al momento resta incerto; rimane dunque da chiedersi se alla fine prevarranno le posizioni di rottura, o se viceversa verrà mantenuto l’orientamento vigente. La rappresentanza straniera potrebbe essere allontanata dall’elezione di un italiano; sarà davvero così?
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