Si è chiusa ieri alle 16 la grande corsa al deposito dei simboli per le elezioni politiche 2013. In poco più di 48 ore – a partire dalle 8 di venerdì 11 – il Viminale ha ricevuto la bellezza di 215 marchi.
Insomma, la politica sarà anche in crisi ma i partiti se la passano benissimo, se davvero così tanti pensano di avere le carte in regola per la partecipazione alla tornata elettorale del 24 e 25 febbraio.
Basta tenere conto, infatti, che cinque anni fa, alle ultime politiche, i marchi depositati al Ministero dell’Interno si erano fermati a quota 181, con 153 poi effettivamente stampati sulle schede elettorali.
Già, perché, se la legge per la presentazione dei marchi è troppo morbida, al punto da consentire anche scopiazzature e slogan ai limiti della denuncia, un filtro alla valanga di contrassegni è comunque previsto dalla normativa elettorale.
Sono scattate da ieri le 48 ore necessarie per la verifica dei simboli presentati e, come il ministro Cancellieri ha anticipato, è facile che molti simboli, soprattutto quelli spuntati dal nulla e troppo somiglianti ad altri già noti, vengano ricusati.
Sarà certamente il caso della “Rivoluzione civile”, senza l’indicazione del nome “Ingroia”, oppure del MoVimento 5 Stelle che è riuscito ad anticipare quello originale di Beppe Grillo, omettendo l’indirizzo al blog del comico.
Questi, i casi più eclatanti – che hanno suscitato parecchi malumori tra i leader “plagiati”, con Grillo che ha addirittura minacciato di ritirarsi dalle elezioni in caso di conferma del “doppio simbolo” – anche se, al solito, il meglio – o il peggio – arriva da marchi e liste fino a ieri sconosciute, spesso nascosti sotto forma di motti e sigle che definire assurde, o provocatorie, è riduttivo.
E’ il caso, ad esempio, di “Forza evasori – Stato ladro”, o ancora, di “Democrazia atea”, senza dimenticare la lista civica nazionale “Io non voto”: esempi di come, in Italia, sia sufficiente spararla grossa non solo per salire alla ribalta delle cronache, ma anche per entrare nelle istituzioni dalla porta principale.
Altre trovate estemporanee sono indubbiamente la lista “Forza Roma”, coi diretti oppositori “Forza Lazio”, i partiti che riassumono il proprio programma solo nella sigla – “Liberi da Equitalia”, così come il “Pas – Fermiamo le banche e le Tasse” – o, ancora, l’annunciato “Movimento Bunga Bunga”, il cui logo è rappresentato da un omino stilizzato che ne prende un altro a calci nel sedere (altro leit motiv “programmatico” degli ultimi anni).
Ci sono poi le solite innumerevoli Leghe: da quella Padana, alla “Liga Veneta”, fino a quella erga omnes Lombardo-Veneta, alla più partiottistica “Lega Italia”. A proposito di fervore nazionale, nel campionario dei simboli tra i meno ispirati, non può mancare “Viva Italia”, che riprende vistosamente il logo mai dimenticato di “Forza Italia”, o, ancora il solidarista “Ppl – Pane, pace, lavoro” per passare al Pin, che nulla ha a che vedere coi telefoni cellulari, ma rappresenta un poco conosciuto “Partito Italia Nuova”.
Quanti di questi marchi riusciranno, alla fine, a presentarsi effettivamente alle elezioni, non è ancora dato sapere. Quello che resta, è la faccia tosta di questa Italia un po’ villana, un po’ guascona, che riduce la rappresentanza politica a una sfilata di contraddizioni, proclami e slogan che sono, forse, la prova più disarmante della cifra di rappresentatività raggiunta dal sistema partitico.
Le cifre non ingannino: non c’è nulla di più lontano dai cittadini di questa sfacciata sequela di liste e listini all’affannosa ricerca di un po’ di visibilità. Ora, resta da sperare che al Viminale predomini il buon senso e agli elettori venga concesso il diritto di scegliere tra quei partiti che si autodefiniscono “seri”, purché questi a loro volta, capiscano che il Carnevale dei simboli altro non è che la prova lampante di una nobiltà decaduta, quella della politica, di cui sono, in ultima analisi, i principali responsabili.
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