Mediazione civile incostituzionale, tutti gli effetti sul decreto istitutivo

Redazione 11/01/13
Quali saranno le conseguenze per la mediazione civile dopo la bocciatura della Corte Costituzionale? Se lo chiedono tanti professionisti e cittadini che, dopo la sentenza che ha stroncato la legge sulla conciliazione, si vedono abbandonati a metà strada di un percorso cheaveva mosso i primi passi l’abitudine nei procedimenti in sede di giustizia.

Con la posizione assunta dalla Consulta, però è cambiato tutto: la mediazione obbligatorio rischia di restare una parentesi nella storia del diritto italiano. Come noto, infatti, quelle leggi in cui si ravvisino profili d’incostituzionalità, smettono di essere operative dal giorno successivo in cui la sentenza è emanata.

A istituire la conciliazione come un passaggio obbligatorio nella risoluzione delle controversie era stato il decreto 28/2010, la pietra miliare della mediazione civile, che, nella parte in cui introduce l’obbligatorietà della mediazione, ha cessato di avere effetto all’indomani della bocciatura della Corte costituzionale.

In realtà, non si è trattato di una cancellazione tout court delle previsioni di legge sulla mediazione: per alcuni articoli, oggi, con la pubblicazione anche delle motivazioni alla base del pronunciamento negativo, è possibile tracciare un profilo corretto delle disposizioni decadute e di quelle, seppur parzialmente, ancora in vigore.

Già nell’articolo 4, per cominciare, troviamo, al comma 3, come il legale debba ovviamente ritenersi esentato dall’informazione al cliente delle materie in cui il ricorso alla conciliazione è obbligatorio per il proseguo della vertenza, mentre, da parte del giudice, rimane valida la necessità di comunicare alla parte in causa la facoltà di chiedere il ricorso all’istituto di mediazione.

Nell’articolo 5, invece, va messo in evidenza come, al comma 1, il carattere necessario della mediaconciliazione sia di fatto scomparso per le materie di condominio, successioni ereditarie, comodati d’uso, diffamazione mezzo stampa, contratti bancari o assicurativi.

Al comma 2 dello stesso articolo, quindi, va inteso che il giudice possa sempre spingere per la mediazione tra le parti, in diatribe di natura commerciale o civile.

Quindi, ne consegue che, al comma 4, le possibili materie escludenti siano, alla luce della sentenza della Consulta, da ritenersi come ostative alla discrezione del giudice per invitare all’apertura del tavolo.

Passiamo, dunque, al comma 5, sempre art. 5, dove salta la possibilità di mediazione obbligatoria per quanto concerne la clausola conciliativa in riferimento a contratti e statuti che possono comunque includere nella loro stesura il passaggio obbligatorio alla conciliazione.

Arrivando all’articolo 6, comma 2, si nota, ora, come il termine della conclusione per il procedimento conciliativo arrivi a un massimo di quattro mesi, mentre, all’articolo 7, dopo la bocciatura in Consulta l’intervallo in cui è stata posta in essere la mediazione non vada più ritenuto valido per le tempistiche processuali.

Effetti pesanti quelli che investono l’articolo 8 del decreto 28/2010, nella parte in cui la non avvenuta partecipazione al tavolo di concilio ora non presenta alcuna ricaduta ai fini del processo.

Quindi, all’atto pratico della mediazione, scopriamo come, all’articolo 11, la parte sulle possibili conseguenze pecuniarie di cui il mediatore è chiamato a rendere conto, viene meno nel suo carattere di obbligatorietà nell’evenienza in cui l’assistito non abbia aderito alla proposta di scendere a patti.

A questo proposito, all‘articolo 13, scopriamo come saltino le condanne alle spese per chi dice no alla proposta di mediazione: infine, all’articolo 17, viene meno il ricorso alle indennità ridotte limitatamente alle mediazioni obbligatorie, così come, naturalmente, l’esenzione dalle indennità per i cittadini non abbienti.

 

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