Quello che è emerso dalla votazione in Senato è che la legge, in un modo o nell’altro, “doveva” passare e, così, infine, è stato. Con il presidente del Senato Renato Schifani nelle vesti di gran cerimoniere, memore degli impegni presi al Congresso nazionale del mondo forense nelle scorse settimane, la riforma è diventata legge dello Stato proprio al termine della seduta conclusiva, nell’ultimo giorno utile per la legislatura iniziata nel 2008, quando vennero gettati i primi semi del nuovo ordinamento della professione forense.
Una cavalcata lungo i 67 articoli, dettati uno dopo l’altro dalla voce della seconda carica dello Stato, mentre, intorno, un’aula di palazzo Madama semideserta accondiscendeva quasi unanimemente, come ha dimostrato la votazione finale in cui si sono espressi favorevoli anche Idv e Lega Nord.
I pochi decisi a contrastare l’approvazione fino all’ultimo, in sede di votazione, hanno avanzato ripetutamente la richiesta di verifica del numero legale, viste le numerose assenze tra i banchi dell’emiciclo.
Dopo una prima sospensione, il numero legale è sempre rientrato nel calcolo, anche se alcuni senatori non hanno mancato di stigmatizzare il comportamento di qualche “pianista” che avrebbe premuto il fatidico pulsante anche per i vicini “in libera uscita”.
Pochi, come detto, i senatori dissidenti alla riforma e, per questi, lo smacco più grosso è rappresentato dall’articolo 41 della nuova legge, quello, cioè in cui si disciplina lo svolgimento del tirocinio.
L’articolo incriminato, tra l’altro, era stato oggetto di una pregiudiziale di incostituzionalità, poi decaduta nel corso della votazione, ma che rappresenta già il punto di partenza per chi vuole contrastare con tutte le armi a disposizione l’entrata in vigore della riforma forense.
Secondo l’articolo incriminato, infatti, i primi sei mesi di praticantato dovranno essere necessariamente non retribuiti, stabilendo, con ciò, la messa a norma, è stato detto per la prima volta assoluta, di una forma di collaborazione gratuita.
E’ proprio questo, a parere degli sparuti ma combattivi detrattori della riforma, per lo più appartenenti al Partito democratico, uno dei punti più critici della nuovo ordinamento forense.
Tanto è vero che, pochi istanti prima del sì definitivo, sono stati annunciati già i primi ricorsi alla Corte costituzionale, partendo proprio dal contestato articolo 41 e la sua natura “anomala”.
Addirittura, si è detto che la legge appena approvata sarebbe “degna figlia di quella uscita nel 1933 dalla Camera dei fasci e delle corporazioni“, poiché tutelerebbe ancora una volta “una corporazione” di professionisti, a discapito dei giovani che tentano con sempre maggiori difficoltà, ora anche regolamentate per legge, di accedere all’agognata professione.
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