Sono molti i motivi per cui questo sciopero è stato indetto e per i quali riscuote così tanti consensi, molti sono vecchi, sono questioni che da sempre affliggono il sistema scolastico italiano, altri sono estremamente attuali e contemporanei, legati ai recenti provvedimenti del governo con la legge di Stabilità.
Alla base di tutto c’è sempre la stessa questione, i tagli alla scuola; scrive nel volantino la Flc Cgil, organizzatrice della manifestazione, “pensavamo di avere già dato, ma con la spending review vengono sforbiciati altri 200 milioni di euro, cui occorre aggiungere altri 184 milioni previsti dalla legge di stabilità”. Dunque un salasso vero e proprio, e dire che il Ministro aveva promesso che i tagli sarebbero stati ridimensionati, ma non è certo la prima volta che promette una cosa e fa il contrario.
Problematica risulta anche la retribuzione degli insegnanti, il contratto del personale, infatti, è bloccato dal 2009, gli scatti stipendiali automatici non sono stati erogati, non solo, ma c’è di più, afferma Cgil che “le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa. In più si chiede ai docenti di lavorare più ore senza compenso aggiuntivo”.
Se gli stipendi dei nostri docenti non sono all’ avanguardia o in linea con la media europea lo stesso discorso può essere fatto per l’edilizia scolastica e gli investimenti. I sindacati ma, soprattutto, gli studenti denotano le mancanze di investimenti negli edifici scolastici frequentati da 7 milioni e 800 mila alunni italiani e come alla mancanza di modernità, di tecnologie all’ avanguardia per rendere concorrenziale la nostra scuola con gli standard europei corrisponda una penosa assenza di investimenti “per le nuove tecnologie e per i laboratori” – dice Flc Cgil – “ pure necessari e urgenti per mettere la didattica e il lavoro nelle scuole al passo coi tempi”.
In questo mare di proteste trova facilmente posto anche la critica al concorso a cattedre definito da più parti inutile e costoso in questo preciso momento, e la Flc Cgil ha sempre detto come il fatto che sia poco funzionale sia strettamente collegato alla riforma Fornero sulle pensioni che secondo il sindacato “va cambiata perché blocca il rinnovamento di personale nella scuola e non tiene conto delle sue specificità. Le immissioni in ruolo non coprono tutti i posti vacanti, quindi il precariato non diminuisce”.
C’è poi anche la questione del diritto allo studio per cui si battono Udu e Rete degli studenti medi. Le due associazioni dichiarano che “nonostante i proclami e le promesse oggi, in Italia non esiste una legge nazionale sul diritto allo studio” e sono “ben poche sono le regioni che hanno adottato leggi sul diritto allo studio virtuose”. Gli studenti sono obbligati a una spesa annua che varia tra i 900 e i 1.600 euro. “Borse di studio, comodato d’uso dei libri di testo, gratuità dei trasporti pubblici sono solamente un miraggio per la stragrande maggioranza delle realtà italiane”.
Gli studenti però hanno da recriminare anche sulla didattica che viene percepita come obsoleta e bisognosa di innovazione, quello che si chiede è un adeguamento ai parametri europei, è una livellazione verso l’alto rispetto agli standard comunitari che ci vedono in ritardo. In Italia purtroppo esiste ancora solo il modello della lezione frontale che non genera nessuna interazione tra studente ed insegnante, per non parlare dei materiali didattici antiquati, con programmi risalenti alla riforma Gentile e che non considerano per nulla l’evoluzione a cui hanno aderito il Paese e la società negli ultimi anni.
C’è spazio per rivendicazioni anche più filosofiche di queste, molto sessantottine, gli studenti infatti insistono anche sulla democrazia scolastica, vorrebbero che aumentasse il coinvolgimento della componente studentesca all’ interno della vita delle scuole. Lo stato attuale delle cose è diverso da questo desiderio, la situazione è normata da un disegno di legge, l’ex Aprea, che compromette le basi della rappresentanza studentesca “deregolamentando completamente il diritto di assemblea degli studenti”.
Altro tasto dolente per gli studenti, universitari, sono le tasse. Secondo quanto riportato dai rappresentanti delle associazioni studentesche “la tassazione studentesca universitaria negli ultimi anni è aumentata del 60 per cento nonostante siamo il terzo paese in Europa per importo delle tasse studentesche. E ogni anno migliaia di studenti capaci e meritevoli ma con una difficile situazione economica alle spalle non ricevono alcun supporto dallo Stato per poter frequentare l’università”.
L’università, tuttavia, non presenta solo questa criticità; infatti si sta sollevando un’aspra critica all’ offerta formativa universitaria, in Italia se si voglio servizi e corsi all’ avanguardia ed efficienti bisogna pagare, altrimenti ci si deve accontentare di corsi e servizi scadenti. “Di fatto” – dicono gli studenti – “questa è una concorrenza al ribasso fatta sulla pelle della parte più debole degli studenti”.
Nonostante il numero dei laureati e degli iscritti all’università sia in diminuzione, le università aumentano il numero di corsi a numero chiuso, gli studenti protestano contro questa politica che viene percepita come lesiva del diritto allo studio. “E’ possibile – si domandano – sostenere ancora oggi che in Italia ci sono troppi studenti e quindi arrivare a imporre il numero chiuso ormai nella maggioranza assoluta dei corsi di studio? Come mai nessuno ricorda mai che l’Europa non ci chiede solo il pareggio di bilancio ma prima ancora ha stabilito la necessità di avere un maggior numero di laureati?”.
Questo punto di vista si collega inevitabilmente al nodo più problematico di tutti, la disoccupazione giovanile. Questo è il tema più caldo e sentito in assoluto ed è forse il reale motivo per cui oggi gli studenti manifestano in piazza. La ricerca di lavoro, presso i giovani, ha raggiunto ormai livelli da record. “La disoccupazione giovanile – hanno scritto al governo Udu e Rete – è ormai a livelli altissimi e sempre più giovani si trovano in condizioni lavorative incerte e prive di diritti. La qualità della propria formazione sempre più spesso non solo non è valorizzata, ma è vista come un peso per il mondo del lavoro. In teoria vogliamo tutti andare verso un’economia della conoscenza che valorizzi competenze e alta formazione, ma in realtà cosa sta facendo concretamente il governo in questo campo?”.
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