A mettere in guardia i rappresentanti delle forze politiche, è arrivato direttamente il ministro del Welfare Elsa Fornero, che ha reso pubblica una lettera datata 7 agosto 2012, in cui alza le barricate contro “avventure” legislative in grado di minare la già precaria stabilità dei conti pubblici.
In sostanza, pur di non incontrare nuove intemperie sui mercati finanziari, gli esodati ancora esclusi dai decreti “salvagente” dei mesi scorsi verranno lasciati alla deriva, immolati, anch’essi, sul sacro altare di una crisi economica che non hanno contribuito a creare e di cui sono, in prima persona, le principali vittime.
La proposta di legge ddl 5103 aveva incontrato, nei giorni scorsi, un’approvazione bipartisan in Commissione Lavoro alla Camera: tutti concordi nel passare alle aule il decreto libera tutti, che ritocca i margini di abbandono della vita lavorativa a 57 anni con 35 di contributi e, soprattutto, apre un paracadute per tutti gli esodati lanciati nel vuoto dalla riforma Fornero.
Un errore da matita rossa, quello dei non savlaguardati, soprattutto per un governo tecnico, che non ha ben soppesato gli effetti di un intervento capitale sul welfare italiano. Eppure, dopo mesi di incertezze e di polemiche, insomma, tutto sembrava convergere verso una soluzione positiva del pasticcio.
La proposta di legge uscita dalla Commissione Lavoro rappresenta un forte segno di discontinuità: nei confronti degli esodati, infatti, si verrebbe a chiudere la linea del “tu sì, tu no” inaugurata coi primi due decreti governativi, emanati tra maggio e agosto, per intervenire invece sul principio normativo che aveva dato vita all’esercito dei dimenticati.
Il primo decreto, infatti, era volto a tutelare con le precedenti regole di pensionamento 65mila lavoratori, mentre il secondo, inserito in spending review, ne aveva aggiunti altri 55mila: totale, 120mila esodati destinati alla salvezza dal Purgatorio che, pur tra mille scogli burocratici, vedono una via d’uscita.
Se per il primo provvedimento, però, le procedure vanno a rilento, tanto che sono attese le “nomination” addirittura per il 2013, il secondo, ha atteso il documento attuativo fino agli ultimi giorni disponibili rischiando l’annullamento. Il decreto è stato firmato proprio in queste ore dal ministro dell’Economia Grilli e, dunque, avviato in extremis.
Dalle parti del governo, insomma, sembrano non avere troppa fretta di chiudere la questione. Anche così si spiega l’insistenza dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, appoggiato dal molti parlamentari di opposti schieramenti, che hanno portato avanti un ddl che negli intenti si annuncia risolutivo, nonostante l’incertezza che perdura sulla reale quantità degli esodati.
Sull’ammontare dei lavoratori non salvaguardati, infatti, non esistono stime certe o ufficiali: addirittura, sindacati – in queste ore impegnati in un sit-in a Montecitorio pro esodati – e Inps hanno parlato di una massa di circa 400mila lavoratori “nel limbo” tra ritiro e occupazione.
Di fronte a questi numeri, non è un mistero che trovare la copertura finanziaria per ciascuno di loro sarebbe stata impresa ardua: nel breve periodo, si è parlato di 5 miliardi, che, di qui al 2019, potrebbero addirittura toccare i 30: indubbiamente una cifra monstre, pari a due manovre economiche.
Tra le possibili soluzioni, si era paventato di rompere il salvadanaio delle lotterie e dei videopoker: dai monopoli di Stato e dall’altissima febbre del gioco degli Italiani sarebbero potute arrivare risorse per una fetta del provvedimento. Ma la Commissione Finanze ha detto no.
In alternativa, si potrebbe attingere ai fondi sbloccati dal decreto salva Italia; e perché, poi, non sostituire una delle tante accise sul carburante fino alla conclusione dell’emergenza, come accade con gli eventi drammatici e imprevisti. Le possibilità, dunque, anche in questa fase difficile, non mancano.
E invece, niente. “La riforma non si tocca” ha risposto stizzita la professoressa Fornero. “Esistono elementi oggettivi che sconsigliano l’adozione, nel delicato quadro congiunturale che attualmente interessa l’Italia, di scelte non adeguatamente ponderate”.
E poi: “E’ impensabile che uno possa lavorare 30 anni e avere una pensione di 35-40 anni”, affermazione basata sull’aspettativa di vita media, a cui, volendo calcare la mano, basterebbe ricordare la rapidità con cui parlamentari e consiglieri regionali hanno raggiunto fino a oggi il vitalizio, per esemplificare la disparità di trattamento verso gli ultimi della fila.
Ma quel che più indigna di fronte all’ennesimo stop è come dalle parti del governo non si senta l’impellenza di sciogliere un nodo generato da quelle riforme pensate e poste in essere proprio nell’epoca della “pax montiana“. Lanciare l’inquietante segnale di non avvertire questa evitabilissima tragedia sociale, equivale a un disconoscimento della sua paternità, a una fuga dalle responsabilità del tutto simile a quel lato peggiore della politica che i tecnici tanto ambiscono a mettere in ombra.
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