Il mese scorso era toccato alla Lombardia, l’affaire Formigoni aveva rivelato come certi fondi pubblici fossero finiti nelle tasche di privati, dell’uso improprio del denaro pubblico; Agnelli sosteneva che i ricchi non sanno quanto i poveri siano poveri ma i poveri non sanno quanto i ricchi lavorano e, ci prendiamo la libertà di aggiungere, rubano.
Nemmeno il neo candidato alle primarie del PD, Matteo Renzi, il simbolo della politica giovane e nuova, è passato indenne a questo ciclone scandalistico; ci sono gli alberghi di lusso e i ristoranti, le enoteche e le pasticcerie, i mazzi di fiori e il marketing nell’ammontare di 2 milioni di euro delle spese di rappresentanza collezionate dal sindaco fiorentino quando era alla guida della Provincia di Firenze, tra il 2004 e il 2009. Renzi, ovviamente si difende, smentisce e rilancia come non siano tutte spese imputabili a lui, forse ha ragione, forse no, certo sarebbe eclatante se il paladino della trasparenza dei conti della politica si trovasse invischiato in questa storia in modo così pesante come sembra.
Passando al Sud, che purtroppo non fa eccezione, ci sono ad esempio i conti della Sicilia che tutto sembrano fuorché in regola. Lombardo, presidente della Regione, in estate ha rassegnato le dimissioni, invitato, anzi sollecitato, dal presidente della Repubblica Napolitano; l’isola, causa gli sperperi dei suoi politici, ha rischiato il baratro economico, il default. Adesso piove un’altra tegola sul Palazzo dei Normanni, i salari dei dipendenti sono stati bloccati perché alcuni ex dipendenti hanno agito per vie legali.
I conti di Palazzo dei Normanni, quindi, sono stati pignorati dai legali di un gruppo di 76 dipendenti ai quali il giudice del lavoro ha riconosciuto scatti di anzianità a partire dal 2005. Il decreto ingiuntivo, che ha congelato i conti correnti, è stato presentato per 24,5 milioni di euro, una cifra piuttosto alta; i cittadini hanno diritto di conoscere queste cifre, perché sono cifre che indicano denaro pubblico, proveniente dai contribuenti, non dovrebbero essere le regioni ad invocare i tagli, ma i cittadini stessi.
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