Dopo i contratti a tempo determinato e le nuove modalità di apprendistato, l’analisi passa ai cosiddetti contratti “atipici”: intermittenti, a progetto, accessori, tirocini e le altre prestazioni. Una giungla dove si nasconde la chiave di volta per il futuro del mercato del lavoro, che può riabbassare gli indici della disoccupazione giovanile e consentire ai nuovi entranti di mettere le basi al proprio futuro. Questo, almeno, nella teoria. Nella pratica, però, non sono poche le voci che si sono alzate affinché la riforma Fornero, ponesse fine al ricorso maniacale delle forme di lavoro precario, bollate a più riprese come la scappatoia delle aziende per risparmiare sul costo del lavoro e la condanna, per i giovani, ad anni di insicurezza e di ristretta autonomia.
Sarà ancora così con la riforma del lavoro 2012? Vediamolo.
Innanzitutto, partiamo dal vero “casus belli” delle battaglie sulla precarietà lavorativa: il contratto a progetto, disciplinato, nella nuova legge, dall’articolo 1 commi 23-25, che non toccano, però, agenti e rappresentanti di commercio. Alla normativa vigente, sono apportate alcune, rilevanti modifiche. In primis, il contratto di lavoro a progetto deve essere riconducibile a progetti specifici e viene escluso che tali progetti possano consistere nello svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Quali mansioni figurino poi nella suddetta categoria, saranno i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali a stabilirlo.
In seguito, sempre per la disciplina del lavoro a progetto, la descrizione del progetto deve essere tale da permettere l’individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire; in merito al compenso, esso va proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non può essere inferiore ai minimi stabiliti, per mansioni equiparabili, dai contratti collettivi. Infine, la facoltà, per il committente, di recedere prima della scadenza del termine, viene prevista solo nei casi in cui siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.
Inoltre, i co.co.co. vengono inclusi nella categoria dei rapporti subordinati sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui manchi il progetto. Qualora l’attività del colalboratore, però, sia svolta con modalità analoghe rispetto a quelle svolte dai dipendenti, il rapporto di subordinazione viene comunque contemplato. Tutte queste novità sono entrate in vigore lo scorso 18 luglio, con l’approdo della riforma a legge dello Stato.
Passiamo ora al lavoro intermittente, che viene limitato ai giovanissimi sotto i 24 anni oppure agli over 55. Per questa particolare tipologia di rapporto contrattuale, viene introdotta una funzione anti-elusiva, con specifico obbligo di comunicazione anticipata alla Direzione territoriale del Lavoro. I contratti ascrivibili a questa categoria, stipulati prima del 18 luglio 2012, scadranno un anno esatto più tardi.
Arriviamo all’associazione in partecipazione, regolamentata dall’articolo 1 commi 28-31. In questa materia, la riforma Fornero prevede che,il numero massimo degli associati impegnati in una medesima attività non possa superare le tre unità, parenti esclusi. Anche qui, vige la presunzione di subordinazione in caso risulti mancante la partecipazione come mancata consegna del rendiconto. La norma entra in vigore in simultanea alla legge; esclusi, però, i contratti già in essere che arriveranno a scadenza naturale.
Sulle rimanenti prestazioni svolte in regime autonomo (articolo 1, commi 26-27) la riforma del lavoro enuncia quali di queste possono essere assimilate a co.co.co. e dunque soggette al contributo Iva. Le condizioni perché questo avvenga sono le seguenti: durata della collaborazione oltre gli 8 mesi, corrispettivo superiore all’80% di quanto percepito nell’anno solare e postazione fissa del lavoratore in una sede del committente. Esclusi da questa casistica, tutti quei ruoli professionali legati a registri, albi o elenchi professionali.
Novità anche per il lavoro accessorio, che introduce aaltre forme per contrastare l’elusione fiscale. Vengono introdotti nuovi tetti massimi di retribuzione, come 5000 euro annui per le prestazioni svolte dal singolo con riferimento alla totalità dei committenti; per il singolo datore di lavoro, invece, il limite sarà di 2000 euro. Infine, restano i tirocini, capitolo molto scarno seppur fondamentale per i nuovi flussi in entrata. La riforma Fornero, per stage e assimilati, non prevede altro che una delega al governo affinché si adoperi per un riordino del settore e una vaga previsione della necessità di corrispondere un’indennità al tirocinante.
Francesco Maltoni
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento