Si tratta del reato, previsto dall’articolo 612-bis del codice penale italiano, rubricato “atti persecutori“.
Comunemente conosciuto con il termine inglese stalking, il reato introdotto nel 2009, è una sorta di affinamento della “violenza privata”, e si rifererisce alla condotta tipica, reiterata nel tempo, di chi “minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita“.
Nulla di più vero. Alcuni comportamenti come telefonate, messaggi, visite inaspettate, a volte, possono trasformarsi in vere e proprie forme di persecuzione, capaci di limitare la libertà di una persona, violando la sua privacy, e inducendola a temere addirittura per la propria incolumità.
La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha emanato, lo scorso 14 giugno, la sentenza n. 23626/2012, con la quale ha confermato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, che a sua volta, convalidava il provvedimento del GIP , con cui il giudice disponeva la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un 63enne, colpevole di aver recato molestie alla propria ex moglie, anche dopo la separazione.
I giudici della Corte, rilevano che l‘ordinanza del Tribunale del Riesame, contestata dall’uomo, veniva emanata in virtù delle “dichiarazioni della persona offesa, moglie separata, che ha lamentato i continui, numerosi e ripetuti atti di vessazione, minacce, molestie, ingiurie e percosse attuati nei suoi confronti anche dopo la separazione, da parte del marito“, e chiariscono la sussistenza di oggettivi riscontri testimoniali a conferma di quanto raccontato dalla donna.
Ad avviso della Corte, le affermazioni della vittima appaiono coerenti, stabili e prive di intenti persecutori. Inoltre, i successivi accertamenti della polizia giudiziaria perfezionano “il quadro probatorio con elementi di sicuro spessore indiziario”.
Difatti, avverso le contestazioni dell’uomo, la Cassazione statuisce che le dichiarazioni della persona offesa, ove caratterizzate dagli elementi sopra indicati, integrano già di per sé i “gravi indizi di colpevolezza” necessari all’emanazione di misure cautelari personali, tanto più se supportate dalle successive acquisizioni investigative, di cui vi è puntuale indicazione nel provvedimento del Tribunale del riesame.
Pertanto, secondo gli Ermellini, il giudice di merito avrebbe dato debitamente conto dei motivi che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’uomo, confermandone gli arresti domiciliari, in quanto gli elementi indizianti sono stati adeguatamente valutati,“secondo i canoni della logica ed i principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” , e poiché, di contro, l’insufficienza motivazionale del ricorrente non ha “scalfito le granitiche risultanze” a suo carico.
Si evince, dunque, dalla pronuncia del Giudice della legittimità, che le dichiarazioni della vittima, se coerentemente riscontrate con altre testimonianze, sono sufficienti ad inchiodare il molestatore e a far scattare la misura cautelare.
Per nulla scontato, non si può che convenire con l’assunto dei giudici del Palazzaccio, trattandosi di una garanzia per tutte quelle vittime, spesso, inermi, che subiscono quotidiani atti persecutori, considerando, tra l’altro, che recenti sondaggi dimostrano come uno stalker su tre sia recidivo, pur dopo l’applicazione delle misure cautelari…
Qui il testo integrale della sentenza della Cassazione n. 23626/2012
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