Parti: Antonio Meneghetti S.r.l. c. Google Inc.
FATTO
La controversia trae origine dall’azione intentata dalla società Antonio Meneghetti S.r.l., del Sig. Antonio Meneghetti, con cui si chiedeva al giudice fiorentino la rimozione dal motore di ricerca Google del link http://onto.provocation.net
I contenuti di detto sito erano ritenuti dall’attore lesivi del proprio diritto d’autore, nonché diffamatorio della propria reputazione.
DECISIONE
L’ordinanza in commento preliminarmente ripercorre la disciplina del D. Lgs. 70/2003, evidenziandone, anche per mezzo di un richiamo alla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’assenza di antinomie con la direttiva c.d. enforcement in materia di diritto d’autore.
Il passaggio che appare di maggior interesse, ad ogni modo, è quello nel quale si stabilisce che la società Google “può essere definita come caching provider avendo la gestione diretta dell’omonimo motore di ricerca, con cui procede alla indicizzazione dei siti ed alla formazione di copie cache dei loro contenuti, con memorizzazione temporanea delle informazioni”.
Per tale ragione, Google, agendo quale mero intermediario della rete, non avrebbe alcuna responsabilità in relazione alla illiceità dei contenuti pubblicati da terzi.
Sebbene non sia la prima volta che l’attività di un motore di ricerca venga ricondotta alla disciplina del caching (in termini simili si era pronunciata la sezione proprietà intellettuale del Tribunale di Roma nell’ordinanza relativa al caso Yahoo/About Elly), la pronuncia merita comunque di essere segnalata, giacché rafforza tale orientamento a discapito dell’altro che vorrebbe applicare ai motori di ricerca la disciplina dell’hosting o, peggio, le norme ordinarie che governano la responsabilità aquiliana.
Molto interessante appare anche la seconda parte dell’ordinanza, nella quale si discutono i possibili ordini di rimozione dei contenuti impartiti dall’autorità giudiziaria.
Innanzi tutto, la pretesa illiceità non sarebbe desumibile dal decreto di archiviazione del GIP, “trattandosi di un provvedimento privo di efficacia di giudicato e comunque reso perché ignoti gli autori del reato, senza alcun accertamento, dunque, sulla sussistenza del reato stesso, che non si può dare per presupposto”.
Ancora più importante è il secondo rilievo, che coinvolge direttamente il problema delle procedure di notice and take-down, dove con fermezza (ed in maniera assolutamente condivisibile a parere di chi scrive) l’ordinanza stabilisce che “la conoscenza effettiva della pretesa illiceità dei contenuti del sito de quo non possa essere desunta neppure dal contenuto delle diffide di parte, trattandosi di prospettazioni unilaterali”.
Pertanto, sarebbe comunque necessario attendere l’ordine di un’autorità giudiziari che dichiari l’illiceità dei contenuti e ne disponga la rimozione.
L’azione intrapresa sarebbe infine carente anche sotto il profilo del fumus boni juris, giacchè le fotografie dell’imprenditore, attore della causa, sarebbero riprese in contesti pubblici. Allo stesso modo, il richiamo ai marchi di impresa della sua società avrebbe solo finalità di critica e non di sfruttamento commerciale e, quindi, non costituirebbe alcuna violazione.
La sentenza integrale è disponibile qui
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