L’art. 1, comma 2, della Legge 26 marzo 2010 n. 42 ha disposto la graduale riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori comunali e provinciali, a decorrere dal 2011, nella misura del 20%.
L’art. 16, comma 17, del D. L. 13 agosto 2011 n. 138, convertito in Legge 14 settembre 2011 n. 148 è nuovamente intervenuto disponendo la riduzione del numero dei consiglieri e assessori per i Comuni fino a 10.000 abitanti; si tratta di una riduzione ulteriore, che si aggiunge a quella già disposta nel 2010.
Per i Comuni fino a 1.000 abitanti è stata del tutto eliminata la figura degli assessori e quindi della Giunta.
Il Ministero dell’Interno, visto il succedersi delle disposizioni, è intervenuto con la Circolare n. 2379 del 16 febbraio 2012 a fissare il numero di consiglieri e assessori per i Comuni, per fascia di popolazione, in vista delle prossime elezioni amministrative fissate dal Governo per il prossimo 6 maggio.
Questo il quadro di sintesi che deriva dall’esame delle norme oggi vigenti.
comuni per numero di abitanti | consiglieri comunali (escluso il sindaco) | assessori comunali |
popolazione fino a 1.000 abitanti | 6 | 0 |
popolazione da 1.001 a 3.000 abitanti | 6 | 2 |
popolazione da 3.001 a 5.000 abitanti | 7 | 3 |
popolazione da 5.001 a 10.000 abitanti | 10 | 4 |
popolazione da 10.001 a 30.000 abitanti | 16 | 5 |
popolazione da 30.001 a 100.000 abitanti | 24 | 7 |
popolazione superiore a 100.000 abitanti o capoluoghi di provincia | 32 | 9 |
popolazione superiore a 250.000 abitanti | 36 | 10 |
popolazione superiore a 500.000 abitanti | 40 | 11 |
popolazione superiore a 1.000.000 abitanti | 48 | 12 |
Per le Province, rinviando ogni commento ai precedenti interventi sull’argomento, va segnalato che il Consiglio dei Ministri il 23 febbraio 2012 ha esaminato un disegno di legge, su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’interno, che interviene sulla definizione delle nuove modalità di elezione dei Consiglieri provinciali e dei Presidenti delle Province.
Il comunicato ufficiale del Governo segnala i seguenti punti essenziali del disegno di legge:
1) Si riduce il numero massimo di consiglieri provinciali. Per le province con più di 700.000 abitanti saranno 16, per quelle con popolazione compresa tra i 300.000 e i 700.000 saranno 12, mentre per quelle con meno di 300.000 abitanti il numero massimo di consiglieri previsto è di 10 unità. I nuovi limiti sono stati pensati per consentire l’accesso in Consiglio di tutto l’arco di forze politiche, garantendo la rappresentatività di tutte le opinioni e la tutela delle minoranze.
2) I candidati al seggio di consigliere provinciale potranno essere solo i sindaci e i consiglieri comunali della provincia interessata. Le “elezioni di secondo grado” riducono i costi. Gli eletti, infatti, mantengono la carica di sindaco o consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica. Le elezioni, inoltre, si svolgeranno in un solo giorno (una domenica che verrà fissata con decreto dal Ministro dell’interno in una data diversa da quella del turno primaverile delle elezioni comunali).
3) Il Presidente della Provincia è eletto direttamente dal corpo elettorale composto dai Consiglieri comunali per abbinamento di lista.
4) Per preservare l’equità di genere tra gli eletti, si prevede la presenza necessaria di candidati di entrambi i sessi in ciascuna lista, nel rispetto del principio di pari opportunità.
Il testo del disegno di legge – si legge nel comunicato ufficiale – sarà ora esaminato dalla Conferenza unificata al fine della definitiva approvazione da parte del consiglio dei Ministri.
Il Governo, nel comunicare l’esame del disegno di legge di riforma elettorale delle Province, afferma: “Prosegue l’azione di contenimento dei costi della burocrazia, attraverso una delle misure annunciate nei mesi scorsi: la razionalizzazione delle spese di gestione degli enti territoriali provinciali. La riforma non prevede nuovi oneri a carico della spesa pubblica. Il risparmio presunto per lo svolgimento delle elezioni è di circa 118 mila euro per lo Stato e di circa 120 mila euro per le Province.”
Il Servizio Bilancio del Senato con riferimento al taglio di consiglieri e assessori dei Comuni fino a 10.000 abitanti, disposto con la Legge 148/2011 scrive:
“La Relazione Tecnica afferma che le misure nei confronti dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti determinano un effetto finanziario positivo sui saldi di finanza pubblica, che, allo stato attuale, non si è in grado di quantificare. Al riguardo, pur condividendo la difficoltà di determinare ex ante i possibili risparmi connessi alla misure disposte nei confronti dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, appare comunque opportuno che il Governo fornisca una stima sia pur di massima dei possibili effetti finanziari derivanti dalla norma in esame. Sul punto si segnala che i risparmi derivanti dalle predette disposizioni in parte potrebbero essere compensati dai possibili oneri derivanti dalla costituzione di una nuova istituzione, quali le unioni municipali, dotate di propri organi e deputate ad esercitare le funzioni amministrative dei comuni contermini Inoltre si segnala che per i comuni superiori a 5.000 abitanti le possibili riduzioni di spesa, derivanti dalla riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori, potrebbero non essere realizzabili, tenuto conto dei vincoli posti dalle regole in materia di patto di stabilità interno e della possibilità dei citati enti di incrementare in misura corrispondente le rimanenti spese appostate in bilancio”.
Si potrebbero richiamare numerosi ulteriori atti ufficiali in cui non si riesce neanche a quantificare l’efficacia, in realtà nulla, sul piano economico di tali misure.
La questione cruciale è che il tema dell’autonomia non può essere declassato a semplice problema di risorse: l’attuazione del titolo V della Costituzione, avviato dalla recente legge sul federalismo fiscale, esige che si proceda tramite un ampio dibattito parlamentare e un confronto con gli enti locali.
Quando si affronta il problema dei costi della politica è necessario considerare tutti i suoi aspetti e fare chiarezza evitando distorsioni demagogiche.
Con riferimento ai costi delle istituzioni, ossia ai costi della democrazia, risulta utile comparare l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni locali italiane con quelle centrali e con quelle delle corrispondenti istituzioni di alcuni paesi europei.
Un’indagine di Legautonomie di ottobre 2010 dimostra come il “costo della democrazia” dei Comuni e delle Province italiane risulti inferiore a quanto si registra in Francia o in Spagna.
Ad esempio nei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti in Francia si arriva fino ad un massimo di 23 componenti, in relazione alle differenti fasce demografiche; in Spagna ad un massimo di 11.
Le indennità lorde mensile del sindaco variano tra 1.290 euro e 1.445 euro per l’Italia, arrivano fino a 1.600 euro per la Francia , mentre il sindaco di un comune spagnolo di 1.700 abitanti può guadagnare anche 2.000 euro.
L’indennità mensile degli assessori è compresa tra i 130 euro e i 217 per l’Italia, tra i 250 euro e i 624 euro per la Francia e un assessore spagnolo arriva a percepire 870 euro.
La polemica sugli sprechi e sui costi impropri della politica trova soluzione nella determinazione del giusto equilibrio tra efficienza e sviluppo, ossia nella garanzia che le risorse pubbliche siano utilizzate e siano utilizzate al meglio.
Per questo, risulta necessario, evidenziare come la spesa a livello centrale spesso sia caratterizzata da discrezionalità e come il sistema dei controlli risulti debole rispetto alle amministrazioni locali.
Considerando che gli effetti dei tagli si ripercuoteranno principalmente sui piccoli comuni e in particolare sui consiglieri comunali, non si capisce davvero quale finalità abbiano le disposizioni contenute nelle manovre finanziarie e orientate al contenimento della spesa pubblica.
Un consigliere di un piccolo comune percepisce un gettone di presenza per seduta di Consiglio Comunale pari a circa 18 euro a seduta (!), fino a raggiungere i 60 euro lordi nei comuni con oltre 250.000 abitanti.
Su base annua, mediamente, un consigliere comunale di un comune di 10.000 abitanti percepisce 1.000,00 (mille euro) di gettoni di presenza. Ripeto annui!
Ma davvero sono questi i costi della politica da comprimere?
Ma davvero, come scrive il Governo “Prosegue l’azione di contenimento dei costi della burocrazia” eliminando la rappresentanza elettiva, come si vuole pervicacemente fare sulle Province?
La rappresentanza democratica è un “costo della burocrazia”?
Perché non si interviene sulla miriade di enti di cui nessuno conosce bene le finalità che popolano il nostro sistema pubblico con costi elevatissimi che sfuggono ad ogni controllo diretto dei cittadini?
Non è accettabile che vengano continuamente presi di mira le spese connesse con l’esistenza di una rete di poteri istituzionali decentrati – i Comuni e le Province – che sono espressione delle peculiarità storiche dei territori e l’essenza stessa della democrazia e al contrario non emerge alcuna volontà di procedere alla revisione della legislazione per la soppressione effettiva di tutte le strutture, gli enti o gli uffici, lontani dai cittadini, non conosciuti e difficilmente controllabili.
Ma l’Italia non è ancora oggi una “Repubblica, una e indivisibile, che riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”?
Anche per questo, alla luce dei continui interventi del legislatore negli ultimi due anni, parrebbe più opportuno e più corretto e onesto parlare di taglio della rappresentanza democratica, nei luoghi in cui questa parola ancora conserva un valore.
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