Sul Durc è necessario essere chiari e trancianti: occorre evidenziare l’assoluta erroneità della posizione espressa dal Ministero del lavoro con la nota del 16.1.2012, secondo la quale la certificazione sul regolare versamento della contribuzione obbligatoria non costituisce una certificazione dell’effettuazione di una mera somma a titolo di contribuzione (come si intende dall’art. 46 del d.P.R. n. 445/2000) ma è un’attestazione dell’Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivanti dalla applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali.
Questa posizione interpretativa dimentica del tutto che la disciplina legittimante la sostituzione del Durc con una dichiarazione sostitutiva deriva non solo dall’articolo 46 del Dpr 445/2000 e dai principi generali da esso posti, ma dalla previsione espressa dall’articolo 38, comma 2, del d.lgs 163/2006: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. […] Ai fini del comma 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266; i soggetti di cui all’articolo 47, comma 1, dimostrano, ai sensi dell’ articolo 47, comma 2, il possesso degli stessi requisiti prescritti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva”.
La norma non merita ulteriori commenti, in quanto in sé del tutto esaustiva. Occorre una sola aggiunta: l’artifizio semantico di denominare il Durc “attestazione” invece che “certificato” non può in alcun modo giustificare l’erronea posizione assunta dal ministero sul tema. Sia perché attestazione e certificato sono esattamente la stessa cosa. Sia perché a qualificare come certificato il Durc è, ancora, una volta la legge, o meglio il dpr 207/2010, all’articolo 6, comma 1: “Per documento unico di regolarità contributiva si intende il certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento”.
Risulta, dunque, inutile ed erroneo sostenere, come il Ministero di Via Veneto ha stabilito, che con l’introduzione dell’articolo 15 della legge 183/2011 il legislatore avrebbe ribadito esclusivamente la modalità di acquisizione del Durc da parte della p.a. (cioè d’ufficio), ma non intaccando il principio secondo il quale le valutazioni effettuate da un organismo tecnico non possono essere sostituite da un’autodichiarazione, che non insiste evidentemente né su fatti, né su status, né tantomeno su qualità personali.
Il Durc, per quanto emesso sulla base di inevitabili riscontri tecnici, non è affatto una “valutazione”, la quale presuppone la costituzione di elementi giuridici e fattuali “nuovi”. E’ e resta solo una certificazione: la dichiarazione di scienza con efficacia erga omnes circa la situazione di regolarità dei versamenti previdenziali di un imprenditore. E’ piuttosto difficile affermare con ragione che il debitore (cioè l’impresa) non sia in grado di sapere se abbia o meno effettuato puntualmente e completamente tutti i versamenti cui è obbligata.
D’altra parte, se come afferma il Ministero, il Durc fosse realmente non autocertificabile (cosa totalmente smentita dall’articolo 38, comma 2, del codice dei contratti) le imprese si vedrebbero costrette a presentare direttamente il Durc e non la dichiarazione sostitutiva quanto meno in fase di gara. In barba a tutte le disposizioni su semplificazione e dichiarazioni sostitutive. Inoltre, se le imprese presentassero il Durc, non si capirebbe cosa le pubbliche amministrazioni dovrebbero verificare ai sensi dell’articolo 71 del Dpr 445/2000: il Ministero ha dimenticato che tale disposizione vale per i controlli sulle dichiarazioni sostitutive e non certo sui certificati, che godono di quella fede privilegiata negata, invece, alle autocertificazioni.
La vicenda del Durc è ben rappresentativa dell’insopprimibile volontà di complicare, mentre si predica – giustamente – la semplificazione; e si capisce quanto sia difficile la strada da percorrere, dati i contrasti tra un legislatore comunque distratto ed approssimativo e l’”apparato“.
C’è da aggiungere una considerazione finale. Ormai da troppo tempo con pareri, circolari, note e direttive emesse da qualsiasi autorità, amministrativa, di controllo o anche solo parti contrattuali (Aran) si sta continuando a sviluppare affermazioni e tesi contrastanti con la lettura serena e pacata della lettera delle leggi, attribuendo a queste “fonti” la forza di integrare, quando non modificare del tutto quanto affermano le leggi.
Sarebbe il caso di trovare un sistema di regolazione e limitazione di questa attività, fin qui sostanzialmente non soggetta ad alcun controllo o gravame, che crea solo incertezze e dubbi e sicuramente non aiuta alla corretta applicazione delle norme.
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