Come annunciato nelle interviste che hanno aperto il dibattito sull’argomento, il ministro è partito mettendo in risalto la necessità di abbassare l’età media dei dipendenti della PA, tramite un programma – ancora allo studio – di avvicendamento tra lavoratori pensionabili e nuovi ingressi.
Nello specifico, sembra che il governo intenda attuare senza perdere tempo il decreto 101 approvato sotto al precedente esecutivo di Enrico Letta, per portare in assunzione tutti i precari vincitori di concorsi – o che potranno candidarsi a posti fissi tramite la corsia preferenziale concessa per la partecipazione ai bandi. In questo modo, dovrebbero arrivare forze fresche nei ranghi della Pubblica amministrazione anche se, al contempo, andrà trovata una soluzione per gestire gli esuberi suggeriti da Carlo Cottarelli tra i punti chiave della sua spending review.
Così, il ministro ha seccamente smentito che i dipendenti in uscita anticipata dal lavoro negli uffici pubblici siano 85mila, proporzione che non ha esitato a definire fuori dalla realtà. Tutt’altro che fantasioso, invece, sarà il ricorso ai prepensionamenti: per quanto, ancora, non si conoscano le cifre esatte sia dei lavoratori coinvolti, che, soprattutto, di quali requisiti verranno applicati in deroga alla riforma Fornero, è pressoché certo che anche quella del ritiro anticipato sarà la chiave per sfoltire i riserve di personale negli enti centrali e locali.
La staffetta generazionale ipotizzata dal ministro coinvolgerà tutti i livelli dell’impiego nella PA, inclusi i tanto chiacchierati manager, che dovrebbero subire un ridimensionamento quantomeno nel rapporto tra il loro numero e in quello dei semplici lavoratori. Quindi, il turnover verrà ampiamente confermato, poiché è letto come l’unica via d’uscita praticabile per dare un futuro alla pubblica amministrazione italiana, già adesso la più vecchia d’Europa, con i suoi oltre 50 anni di media.
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