Una premessa, necessaria per il lettore inesperto: nella prassi delle locazioni è invalso l’uso di un lessico improprio e discorsivo. In questa sede saremo puristi e ci atterremo alla terminologia legislativa.
Per “locazione” si intende il contratto comunemente detto di “affitto”. Il “locatore” (che nel gergo comune sarebbe il “proprietario di casa”) si impegna a far godere un bene, nel caso della presente analisi un immobile urbano, al “conduttore” (che siamo soliti definire “inquilino”) a fronte del pagamento di una somma detta “canone”.
Merita particolare attenzione, nell’economia del presente elaborato, l’eventuale evoluzione patologica del rapporto contrattuale. Si ponga il caso che il conduttore (ossia l’inquilino) voglia disgiungersi dal contratto. La locazione non costituisce un legame indissolubile e la legge predispone per le parti un apposito strumentario per dissolvere il vincolo.
Il conduttore può voler interrompere il contratto perché, ad esempio, ha trovato lavoro in altra città o non è più in grado di sostenere economicamente le spere del canone.
Un primo tentativo, immediato e conveniente, consiste nel dialogare con il locatore per ottenere l’eventuale risoluzione consensuale del rapporto. Se conduttore e locatore sono entrambi d’accordo, la loro volontà dissolve immediatamente il contratto, senza necessità di alcun preavviso e senza che sia dovuto alcun canone. L’unico onere a carico delle parti è la regolarizzazione fiscale, solitamente il pagamento di una “imposta di registro per risoluzione di contratto”.
Aspetti problematici vengono in rilievo qualora il locatore non presti il proprio consenso alla risoluzione del contratto. Il locatore, tendenzialmente, sarà favorevole solo nel caso in cui disponga di un altro conduttore subito disponibile a stipulare un nuovo contratto o nel caso in cui abbia interesse a rientrare in possesso dell’immobile. In caso contrario, nulla avrebbe da guadagnare dalla risoluzione anticipata consensuale.
Se il locatore è contrario, il conduttore può recedere ugualmente ma solo nel caso in cui vi sia una giusta causa. Il concetto è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza di merito, garantendo un margine di manovra molto ampio all’inquilino che voglia svincolarsi dalla locazione. Sono esemplificativamente considerate “giuste cause”: l’abbandono degli studi universitari, il licenziamento, sopravvenuti impegni lavorativi in altra città, rilevanti ragioni di carattere professionale o familiare che rendano superflua la prosecuzione del rapporto. La norma di riferimento è l’art 3 della legge 431 del 1998.
In questo caso, tuttavia, la legge appresta una tutela per il locatore: il conduttore deve dare un preavviso di sei mesi con lettera raccomandata. In sostanza, l’inquilino redige una lettera in cui spiega i “gravi motivi” che lo inducono a desiderare la cessazione del rapporto e la invia nella forma della raccomandata A/R al locatore. Decorsi sei mesi, il rapporto è disgiunto.
Eppure, il lettore si avvedrà subito che un tale scenario non è favorevole per il locatore colto da una “giusta causa” immediata ed imprevedibile. Ad esempio, poniamo il caso di uno studente universitario che decide inaspettatamente di abbandonare gli studi. In questa circostanza, se il soggetto riesce ad ottenere la “risoluzione consensuale”potrà abbandonare l’immobile immediatamente senza ulteriori spese salvo la regolarizzazione fiscale. Se il locatore dovesse opporsi, le complicazioni non sarebbero trascurabili: lo studente dovrebbe inviare una raccomandata al locatore, ma sarebbe comunque “imprigionato” per altri sei mesi nel rapporto contrattuale, persistendo l’obbligo di pagare il canone fino all’operatività del recesso.
Il consiglio, in circostanze del genere, potrebbe essere di concordare la risoluzione consensuale col locatore, ad esempio attivandosi per trovare un nuovo conduttore disponibile a stipulare il contratto od offrendo una bonaria composizione economica non troppo onerosa . Ma decisioni di questo tipo stanno al comune accordo delle parti e, se il locatore persiste imperterrito, nulla potrà farsi.
Un’ultima eventualità merita considerazione: le parti possono inserire nel contratto fin da principio una “clausola di recesso volontario” per il conduttore. Questa clausola attribuisce al c.d. “inquilino” di svincolarsi in qualsiasi momento dal contratto, sostanzialmente bypassando il problema di argomentare una “giusta causa”. Il locatore è sempre tenuto, tuttavia, a dare un preavviso di sei mesi a mezzo raccomandata, ma nella lettera non dovrà motivare la sua richiesta.
Quanto detto riguarda la disciplina generale del contratto di locazione. Il c.d. “contratto per studenti” (per esteso “contratto di locazione per esigenze abitative di studenti universitari”), un nuovo modello normativo previsto da interventi legislativi non troppo remoti, segue dinamiche leggermente diverse, sulle quali ci profonderemo in altro scritto.
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