Da una parte il Dpr 59/2009, attualmente in vigore in attesa delle modifiche contenute nel Dlgs 192/2005 – continua a prescrivere che, salvo cause straordinarie l’impianto nei fabbricati con con più di quattro unità immobiliari e per potenze nominali del generatore di calore maggiori o uguali a 100 kw deve – preferibilmente – rimanere unico. Un prescrizione che, però, è rivolta alla volontà della collettività intera condominiale e non a quella di ciascun inquilino contemplato singolarmente.
Del resto l’articolo 1118 del Codice civile, supportato da una lunga serie di sentenze della Cassazione, stabilisce il diritto di ciascun condomino di fare una scelta in autonomia e di definire i criteri necessari per rendere legittima la rinuncia al riscaldamento centralizzato. A questa e alla norma precedente si sono sommati nuovi impedimenti tecnici in vigore dal 1° settembre, che potrebbero in diverse circostanze rendere impossibile o molto costoso il distacco; infatti, gli impianti termici installati dopo il 31 agosto scorso devono essere obbligatoriamente collegati a canne fumarie o a sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio.
Secondo la riforma del condominio, per distaccarsi, il condominio deve fornire, innanzitutto, prova di non procurare un aggravamento delle spese a coloro che proseguono ad utilizzare il riscaldamento centralizzato. In secondo luogo, bisogna dimostrare che la decisione non determina uno squilibrio termico dell’intero edificio, tale da pregiudicare la regolare erogazione del servizio di riscaldamento.
La prova che attesti la situazione deve essere data con una perizia, non è invece necessario, come per la trasformazione dell’intero impianto termico, il deposito in Comune di un progetto insieme alla denuncia di inizio lavori. Non è richiesto nessun passaggio, con successiva deliberazione, in assemblea condominiale, per il distacco; secondo alcuni, si tratta di un diritto che si può esercitare anche in presenza di un divieto esplicito nel regolamento comune ( Cassazione sentenza 19893/2011).
Deve essere un tecnico abilitato a redigere la perizia, secondo quanto prescritto dal Dm 37/2008, cui rimanda anche il recente Dpr 74/2013, che ha ridisegnato il tema della conduzione e dei controlli degli impianti termici. Nella fattispecie, il professionista deve essere iscritto agli albi professionali ed essere in possesso delle specifiche competenze tecniche in materia di trattamento degli impianti di riscaldamento dotati di canne fumarie collettiva ramificate.
All’interno del documento devono essere presenti varie informazioni, innanzitutto l’accertamento dello stato dei consumi della caldaia e la proiezione del consumo ipotizzato, in caso di distacco. In secondo luogo, la perizia va corredata da una previsione che attesti come, in virtù delle caratteristiche tecniche dell’impianto, il distacco non creerà notevoli pregiudizi all’impianto centrale. Infine, deve essere dimostrata l’assenza di futuri squilibri termici per il fabbricato.
Uno dei nodi più complessi da sciogliere è, infine, quello riguardante la ripartizione delle spese post-distacco. Chi abita nell’appartamento che viene scollegato dalla caldaia comune non è più tenuto a partecipare alle spese ordinarie per il riscaldamento, ma deve continuare a contribuire alle spese di manutenzione straordinaria dell’impianto centralizzato, oltre alla sua conservazione e messa a norma.
L’articolo 1118, comma 3, del Codice civile è piuttosto chiaro in merito e stabilisce che ” il condominio non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni”. Inoltre il nuovo comma 4 dispone ora anche in caso di distacco che “il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”. Rimane poi aperta ogni volta la disputa su cosa debba essere ritenuto o meno straordinario.
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