L’adozione del Decreto era stata prevista dal nuovo articolo 6-bis del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), introdotto dal Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, il quale ha istituito il predetto indice, onde facilitare Pubbliche Amministrazioni, imprese, professionisti e cittadini nell’attività di reperimento degli indirizzi elettronici ufficiali di posta certificata.
Infatti, l’articolo 16, commi 6 e 7, del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, aveva imposto, alle imprese in forma societaria (successivamente anche alle imprese individuali) e ai professionisti iscritti in Albi statali, l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo PEC rispettivamente al Registro delle Imprese e agli Ordini di appartenenza; tuttavia, l’elenco degli indirizzi comunicati era sinora accessibile esclusivamente alle Pubbliche Amministrazioni ed agli stessi soggetti comunicanti tramite il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (Re.G.Ind.E.).
La novità apportata dall’articolo 6-bis del CAD assume, pertanto, notevole rilevanza, attuando le previsioni in tema di diritto dei cittadini all’uso delle tecnologie informatiche non solo nei rapporti con la PA, ma anche con professionisti e imprese, in aderenza ai principi generali contenuti nel Capo I del CAD medesimo.
La previsione può essere accolta con favore, atteso che appariva contrastante con i benefici derivanti dalla digitalizzazione dei rapporti comunicativi l’imposizione di procurarsi un indirizzo PEC, senza la correlata conoscibilità dello stesso per i privati, costretti ad agire in via analogica mediante lettere raccomandate, con un aggravio di costi.
Specifica, difatti, l’articolo 6-bis, comma 3, CAD che
“L’accesso all’INI-PEC è consentito alle Pubbliche Amministrazioni, ai professionisti, alle imprese, ai gestori od esercenti di pubblici servizi ed a tutti i cittadini, tramite sito web e senza necessità di autenticazione. L’indice è realizzato in formato aperto, secondo la definizione di cui all’articolo 68, comma 3”.
Ciononostante, a fronte dell’opportunità della previsione legislativa, è lecito sollevare qualche dubbio. Invero già la formulazione dell’articolo 6-bis è foriera di irragionevolezza, non comprendendosi il bisogno di specificare i soggetti cui è consentito l’accesso, laddove venga poi esclusa la necessità di autenticazione. Imprecisione lessicale che si trascina nel Decreto, il cui articolo 6, comma 1, riprende testualmente le parole della disposizione di legge.
Una parte del Decreto aderisce fedelmente alle prescrizioni dell’articolo 6-bis, il quale, al comma 4, prevede che sia il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) a gestire l’indice, avvalendosi delle strutture informatiche delle Camere di Commercio.
Parallelamente, pertanto, l’articolo 3 del Decreto afferma
“L’INI-PEC e’ realizzato e gestito in modalità informatica dal MISE che si avvale di InfoCamere ed e’ incardinato in una infrastruttura tecnologica e di sicurezza, conforme alle prescrizioni del CAD e del SPC, che rende disponibili gli indirizzi PEC per il tramite del Portale telematico”.
L’elenco è diviso in due parti, la “Sezione Imprese” e la “Sezione Professionisti”, che si caratterizzano per chiavi di ricerca differenti:
1. Sezione Imprese: Provincia – Codice Fiscale – Ragione sociale/Denominazione – Indirizzo PEC.
2. Sezione Professionisti: Provincia – Ordine o Collegio Professionale – Codice Fiscale – Nominativo – Indirizzo PEC.
Le esigenze di riflessione sorgono dalla lettura dei commi da 3 a 5 dell’articolo 6, fortemente contestati dai primi commentatori del Decreto.
Il comma 3 dispone che il Portale Telematica (sul quale sarà ospitato l’indice) consente ai soggetti sopra indicati di “acquisire in formato aperto uno specifico indirizzo PEC”. Il dato testuale induce a ritenere che, secondo il Decreto Ministeriale, la pubblicazione in formato aperto involga esclusivamente il singolo indirizzo PEC e non già l’intero elenco. Tale interpretazione trova conferma nel successivo comma 4, ai sensi del quale le Pubbliche Amministrazioni registrate in IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni, previsto dall’articolo 57-bis CAD) possono, altresì, estrarre elenchi di indirizzi PEC secondo le regole tecniche predisposte dall’Agenzia per l’Italia Digitale; al contrario, tutti gli altri soggetti, cittadino compreso, potrebbero estrarre il dato in formato aperto solo singolarmente, senza che sia, peraltro, menzionata la facoltà di riutilizzo.
A ciò si aggiunga che il comma 6 attribuisce a InfoCamere la possibilità di “fornire servizi evoluti di accesso, consultazione ed estrazione da regolamentarsi tramite apposite convenzioni”, aprendo la strada al ritorno economico dello Stato derivante dallo sfruttamento di tali dati, tenuto conto che InfoCamere è una società consortile delle Camere di Commercio italiane.
All’indomani della pubblicazione del Decreto, vi sono state plurime reazioni negative al contenuto dello stesso, paventandone l’illegittimità o comunque il contrasto con l’articolo 6-bis del CAD, principalmente dovute alla mancata sussunzione del regolamento sotto la fattispecie degli open data.
In verità, è necessario ricostruire l’esatto quadro normativo entro cui si muove, per concludere che, probabilmente, l’intenzione del legislatore e del Dicastero attuatore non fosse propriamente quella di favorire la pratica del riuso degli elenchi PEC.
In primo luogo viene in rilievo l’articolo 16, comma 10, del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, ai sensi del quale
“La consultazione per via telematica dei singoli indirizzi di posta elettronica certificata o analoghi indirizzi di posta elettronica di cui al comma 6 nel registro delle imprese o negli albi o elenchi costituiti ai sensi del presente articolo avviene liberamente e senza oneri. L’estrazione di elenchi di indirizzi e’ consentita alle sole pubbliche amministrazioni per le comunicazioni relative agli adempimenti amministrativi di loro competenza“
che va posto in correlazione con l’articolo 6-bis, comma 3, seconda parte, già citato, secondo cui l’indice è realizzato in formato aperto, secondo la definizione di cui all’articolo 68, comma 3.
L’erroneo riferimento normativo contenuto nell’articolo 6-bis ha, pertanto, creato confusione e false aspettative: esso asserisce, infatti, che l’indice è realizzato in formato aperto (articolo 68, comma 3, lett. a), ma non come raccolta di dati di tipo aperto (articolo 68, comma 3, lett. b). La conseguenza essenziale è che non si fa menzione della possibilità di riuso, venendo sì pubblicati i dati sotto formato aperto, ma solo dal punto di vista tecnico, non giuridico, restando gli stessi soggetti a diritti di privativa: tanto che l’articolo 4, comma 8, del Decreto Ministeriale statuisce che
“I dati trasmessi ai fini della pubblicazione nell’INI-PEC restano rispettivamente di titolarità delle Camere di Commercio con riferimento alla imprese e di titolarità degli Ordini e Collegi professionali con riferimento ai professionisti”.
E’ stato da taluni osservato che la prevista facoltà di acquisizione di un singolo indirizzo PEC in formato aperto varrebbe come acquisizione in veste open data; previsione del Decreto Ministeriale che contrasterebbe (secondo questi commentatori) con la previsione dell’articolo 6-bis, il quale, invece, garantirebbe la forma open data dell’intero indirizziario. L’assunto va disconosciuto per la ragione appena espressa in relazione all’errato richiamo fatto all’articolo 68 del CAD.
L’osservazione non è comunque priva di fondamento perché solleva un problema non indifferente: è inutile postulare il rilascio del dato in formato tecnicamente aperto, senza garantire la facoltà di riuso.
V’è tuttavia da chiedersi se effettivamente l’elenco INI-PEC non sia aliunde assoggettabile alla disciplina degli open data.
Dal 19 Marzo 2013 è, invero, pienamente vigente l’articolo 52, comma 2, del CAD, a norma del quale
“I dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l’espressa adozione di una licenza di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, si intendono rilasciati come dati di tipo aperto ai sensi all’articolo 68, comma 3, del presente Codice. L’eventuale adozione di una licenza di cui al citato articolo 2, comma 1, lettera h), e’ motivata ai sensi delle linee guida nazionali di cui al comma 7”.
La norma ha introdotto il cosiddetto principio dell’open data by default, sancendo che i dati pubblicati dalla Pubblica Amministrazione, se non assoggettati ad una specifica licenza (come prevista dal D. Lgs. 36 del 2006, attuativo della Direttiva UE sul riuso dei dati pubblici), s’intendono rilasciati in formato open data, secondo la relativa formulazione accolta dall’articolo 68, comma 3, lettere a) e b) del CAD.
Potrebbe, pertanto, argomentarsi che anche l’elenco degli indirizzi contenuto nell’INI-PEC, ove non pubblicato con apposita licenza più restrittiva, ricada sotto la forma dei dati aperti o liberati, consentendone il riuso.
Certo è, concludendo, che sarebbe maggiormente auspicabile un intervento normativo e ministeriale che mondi la disciplina giuridica delle incongruità da cui è affetta, quantomeno in un’ottica di semplificazione: costituisce una barriera per gli operatori economici l’incertezza derivante dalle difficoltà interpretative, che indubbiamente ostacola l’innovazione e l’offerta di nuovi servizi, in tal modo davvero riservati indebitamente a settori di amministrazione privilegiati. Non può, inoltre, escludersi la contrarietà di simili limitazioni al diritto comunitario e nazionale in tema di concorrenza: la Direttiva sul riuso dei dati pubblici (2003/98/CE) è prossima alla revisione e sembra che le modifiche si focalizzerano prioritariamente sulle potenzialità economiche derivanti dal riutilizzo della cosiddetta Public Sector Information. La configurazione sinora dominante dell’Amministrazione come ente preponderante rispetto al cittadino ed agli operatori economici sta divenendo anacronistica, posto che la dottrina dell’open government ribalta i termini del rapporto: poiché molto si è fatto in questo settore nell’ultimo anno (da ultimo l’approvazione della Legge Anticorruzione e del Decreto Trasparenza), sarebbe opportuno non perdere tali benefici e soprattutto evitare il rischio di altre procedure d’infrazione per violazione degli obblighi comunitari.
1 Un ringraziamento doveroso a Morena Ragone per il confronto e la collaborazione nella fase di studio.
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