I cittadini di queste otto Province italiane non hanno potuto infatti esercitare il loro diritto di elettorato per il rinnovo dei propri rappresentanti nella Province in virtù del decreto Salva Italia.
Rinviamo al precedente intervento l’approfondimento su tutte le problematiche derivanti dall’applicazione della normativa, ancora in itinere, sul nuovo sistema elettorale per le Province.
Adesso, finalmente, cominciano a levarsi le voci critiche anche da quei settori della “società civile” certamente non sospettabili di “faziosità pro Province”.
Un primo allarme arriva da Vicenza, dove appunto gli organi – Presidente, Giunta e Consiglio Provinciale – sono giunti alla scadenza naturale, e dopo il decreto Salva-Italia del governo Monti che ha trasformato i consigli provinciali in organismi di secondo livello, non verranno eletti i nuovi organi, almeno fino al 31 marzo 2013, arrivando così al commissariamento dell’ente.
Ma chi ne erediterà le competenze in materia di lavoro, formazione, appalti e infrastrutture, per esempio?
E’ la domanda che si pone, in un’intervista rilasciata a Il Mondo.it, Giuseppe Zigliotto, nuovo Presidente di Confindustria Vicenza:
«Oggi abbiamo un ente che sta sparendo», afferma il Presidente di Confindustria, «ma nessuno ha messo in chiaro chi ne prenderà il ruolo, manca ancora un quadro direttivo». «Lei capisce», continua il leader degli imprenditori locali, «che un commissario non deve rispondere al territorio e non avrà nemmeno la disponibilità di una tesoreria. Quindi ai cittadini verrà a mancare un interlocutore. E la Provincia ha competenza sul lavoro, per dirne una, ma anche sulle scuole superiori, e quindi la formazione professionale, sui piani territoriali e le opere pubbliche come le strade. Va bene chiudere un ente, ma occorre chiarezza, e noi oggi non sappiamo chi sarà il nostro interlocutore, e come si muoverà».
Le parole del presidente di Confindustria ribadiscono in modo inequivocabile quanto da tempo paventato da più parti, senza purtroppo l’avvio di un serio ed approfondito dibattito sulla riforma complessiva dell’organizzazione centrale e periferica della Repubblica.
E’ questo il risultato di una “riforma” affrettata, demagogica e incoerente.
Nasce una palese disparità nella rappresentanza di alcuni territori.
I cittadini di otto Province – a differenza delle altre – non avranno più una rappresentanza politica portatrice dei loro interessi in tutte le sedi istituzionali, ma saranno rappresentanti da un Commissario – non eletto ma nominato – che non risponde delle proprie scelte agli elettori ma al Ministro dell’Interno che l’ha nominato.
Con quale mandato un commissario potrà decidere se approvare un no ad esempio un piano urbanistico comunale?
Sulla base di quale autorità rappresentativa potrà stabilire le priorità negli investimenti ad esempio su scuole o su viabilità?
Sulle priorità nella destinazione delle risorse? Sulle scelte in merito al futuro assetto istituzionale nei tavoli di coordinamento?
E’ possibile che non ci renda conto del grave vulnus al sistema democratico ed al diritto di elettorato attivo si sta determinando in questo modo?
Era proprio necessario anteporre una decisione di tale portata ad una revisione ponderata di riordino istituzionale e di riassetto delle competenze?
Vorrà finalmente il Governo aprire un confronto serio sull’argomento?
Ci sono le condizioni perché si possa giungere ad una riforma organica che punti alla semplificazione reale e alla modernizzazione del nostro sistema attraverso una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Regioni e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità ed eliminando davvero strutture, organismi ed enti non rappresentativi che appesantiscono il sistema, determinano i veri costi occulti della politica e allontanano i cittadini dalle Istituzioni.
Dalle scelte che saranno adottate si misurerà la capacità della classe politica a gestire l’emergenza economica e a trarre dalla situazione di anomalia e straordinarietà dell’attuale assetto di governo un’opportunità da non sprecare per una riforma vera, non fondata sull’autoconservazione di rendite di posizione acquisite a livello centrale, ma che punti sulla capacità delle autonomie locali di interpretare i bisogni della collettività, di saperle gestire, attraverso l’assunzione diretta di responsabilità, restituendo ai cittadini la sovranità che si traduce nella scelta dei propri pubblici amministratori.
Una revisione organica dell’organizzazione della Repubblica è necessaria per semplificare il sistema, partendo però dal riordino delle competenze e basato sul sistema delle autonomie voluto dalla Costituzione e sancito dalla Carta Europea.
Ma non è più tempo di demagogiche e redditizie campagne anti casta o di soluzioni che soddisfano la voglia crescente di assistere ai “tagli” alle poltrone senza un disegno organico.
Il tema dell’autonomia non può essere declassato a semplice problema di risorse: l’attuazione del titolo V della Costituzione esige che si proceda tramite un ampio dibattito parlamentare e un confronto con gli enti locali.
Non si può fare appello ai principi costituzionali solo quando fa comodo.
Né si può derogare agli stessi principi, sacrificandoli alle esigenze della finanza o, ancor peggio, alle convenienze del momento.
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